APRILE

 

 

               B. Nonio Alvares Pereira                             B. Battista Spagnoli 

 

                     B. Maria dell'Incarnazione                           Beata Teresa M. Manetti

 

 

 

 

1 Aprile: B. Nonio Alvares Pereira

 

Nonio Alvares nacque a Cernache do Bonjardim, nei pressi di Lisbona, il 24 giugno 1360 da don Alvaro Goncalves de Pereira, il quale ricopriva il ruolo di grande maestro di uno dei rami dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni in Gerusalemme. All'età di tredici anni si trasferì alla corte del re Ferdinando del Portogallo per avviarsi alla carriera militare. Sin da piccolo aveva apprezzato le leggende di re Artù e come Galahad desiderava restare celibe e porsi al servizio del proprio sovrano. Sposò poi invece, a diciassette anni, Leonora de Alvim, da cui ebbe tre figli. Ne rimase vedovo nel 1387. Appena ventitreenne fu designato quale generale al comando delle forze armate portoghesi e l'investitura avvenne per mano del grande maestro dei Cavalieri di Aviz, che dopo due anni ascese al trono con il nome di Giovanni I. Godendo di universale rispetto, accompagnò alla vittoria i suoi uomini nella battaglia di Atoleiros combattuta contro l'esercito della Pastiglia. In tal modo il Portogallo ottenne definitivamente l'indipendenza dagli altri regni della penisola iberica.
Secondo la testimonianza degli storici portoghesi Nonio Alvares diede sempre esempio di vita illibata e non tollerava nessuna scostumatezza tra i suoi soldati. Le gesta di questo eroe nazionale vennero cantate da L. Camoes nei Lusiadas.

Nel 1422 avvenne quel grande colpo di scena che lasciò stupita l'intera corte: Nuno fondò un nuovo convento carmelitano a Lisbona e, abbandonando quanto possedeva, vi si ritirò per il resto dei suoi giorni come fratello laico. Volle essere semplice "donato" e prese il nome di Nonio di S. Maria; volle essere semplice "fratello", dedicandosi ai lavori più umili del convento.

Il 1° aprile 1431, domenica di Pasqua, mentre era intento a leggere la Passione secondo Giovanni ed aveva appena letto il passo “ Ecco tua madre! ”, spirò, dopo aver dato a tutti esempio di preghiera, penitenza, amore verso i poveri e filiale devozione verso la Madre del Signore. Tutta la corte intervenne alle solenni esequie ed alla sepoltura nel convento carmelitano di Lisbona di colui che già era acclamato dal popolo santo ed eroe nazionale. Inoltre, poiché sua figlia Beatrice era andata in sposa al duca di Braganca Alfonso, figlio primogenito del re Joao I, Nuno è a tutti gli effetti considerato il fondatore di questo casato che regnò sul Portogallo sino al 1910 con Emanuele II. Il Papa Benedetto XV decise di confermare ufficialmente il culto tributato a Nuno Alvares Pereira, riconoscendogli il titolo di “ beato ” in data 23 gennaio 1918.
Il sommo Pontefice Pio XII pensò poi di riavviare la causa di canonizzazione il 28 Maggio 1941 e, in seguito ad un avvenuto miracolo utile a tal scopo, il 13 luglio 2003 è stato aperto il processo diocesano per esaminare la condotta di santità del Beato Nuno e dimostrarne le virtù eroiche, attraverso dichiarazioni di santità e raccolta di tutti i documenti che abbiano qualche relazione con la causa. Solo al termine di tale lungo processo Nuno Alvares Pereira potrà eventualmente con la canonizzazione essere proposto quale modello alla Chiesa universale.

 

 

17 Aprile: B. Battista Spagnoli 

 

 

Nacque a Mantova il 17 aprile del 1447.  Il cognome ricorda le origini spagnole del padre, Pietro Modover, stabilitosi a Mantova al servizio de Gonzaga. La madre, invece, era la bresciana Costanza Maggi. Ancora giovane Battista entrò a Ferrara tra i carmelitani della Congregazione Mantovana. Scelse questo convento perchè vi si praticava la riforma operata dal beato Soreth. Qui seguì le orme di un altro beato, Bartolomeo Fanti, che lo diresse nelle vie del Signore. Professò i voti religiosi nel 1464. Nel 1470 fu ordinato prete, e cinque anni dopo divenne maestro in teologia presso lo Studio bolognese. Riscosse notevole successo come insegnante, ma anche come oratore e predicatore, nonostante la corporatura minuta e la voce flebile. Collegò le virtù religiose con un grande impegno per lo studio e la cultura. Si specializzò in greco ed ebraico e se ne servì per interpretare e difendere i Libri Santi. Svolse numerosi incarichi in vari conventi ma la sua esistenza subì una svolta quando, nel 1483, divenne, suo malgrado, Vicario Generale della sua Congregazione di riforma; per ben sei volte ricoprì questo ufficio. Sul finire della sua vita Battista fu Priore Generale di tutto l'Ordine (1513-16) ma nel 1515 si dimise dalla carica per i forti ostacoli che il suo zelo incontrava. La sua attività non si limitò alla famiglia religiosa. Nel 1513 fu invitato a partecipare al Concilio lateranense; e nel 1515 incaricato da Papa Leone X della missione diplomatica per comporre la pace tra il re di Francia e il duca di Milano. Si distinse essenzialmente nello spirito e nella finalità di denuncia della dilagante corruzione dei tempi, ed espresse la sua ansia riformatrice con felici spunti letterari e con un vibrante discorso nel 1489 nella basilica vaticana davanti al Papa e ai Cardinali. Tutto ciò non lo distolse dalla vita interiore e dalla speciale devozione alla Madonna. Fu amico di insigni umanisti e di illustri personaggi dell'epoca, ben figurando nel mondo della cultura. Morì a Mantova il 20 marzo 1516. Aveva sessantotto anni. Il corpo, incorrotto, si conserva nella chiesa cattedrale di quella città. Il culto di beato venne confermato da Leone XIII il 17 dicembre 1885.

Proclamato da Erasmo il " Virgilio cristiano " (più di 50 mila sono i suoi versi latini, oltre le opere in prosa) è da ritenersi tra i migliori poeti del suo tempo; ciò è anche attestato dalle numerosissime edizioni dei suoi scritti. Ha lasciato opere pregevoli tutte in lingua latina, lingua che parlava e scriveva con facilità e sorprendente eleganza.

 

 

18 Aprile: B. Maria dell'Incarnazione

 

E’ considerata la “ madre e fondatrice del Carmelo in Francia ” perché ha contribuito a diffondere più di tutti la riforma carmelitana di S. Teresa d’Avila.
Barbara Avrillot, figlia di Nicola Avrillot, signore di Champlatreux, e di Maria Lhuilher, nacque a Parigi il 1° febbraio del 1566.

Fin dalla nascita la giovane Barbara fu votata alla Madonna. I genitori la portarono a Maria in pellegrinaggio, nella speranza che rimanesse in vita, perché fino alla sua nascita avevano visto morire tutti i loro piccoli. Com’era consuetudine per la nobiltà dell’epoca, appena adolescente, fu affidata alle Suore Minori dell’Umiltà di Nostra Signora residenti nel convento di Longchamp, dove una delle sue zie era religiosa. Vi ricevette un'educazione che fece maturare in lei il profondo desiderio di diventare la serva delle serve del Signore.
Ella imparò a pregare e ad assumere delle abitudini proprie della vita religiosa. Verso il 1580 però fu richiamata nella casa paterna, poiché apparteneva ad una famiglia ricca e di gran nome, di Parigi; era destinata dai genitori, al matrimonio. La giovane non sentiva alcun gusto per le mondanità né per gli obblighi di apparire in società, legati al suo stato. Sua madre s'incaricò di toglierle quest'atteggiamento di vita tutta spirituale e di scalzare questa inclinazione alle cose di Dio: le si mostrava così molto severa.

Fin dall'adolescenza la giovinetta apprese a non seguire la propria volontà e a preferire quella di Dio, come le si mostrava attraverso gli eventi. Barbara così, a 16 anni, fu data in sposa al visconte di Villemor, Pietro Acarie, signore di Montbrost e di Roncenay, cristiano fervente e cattolico convinto. Pietro aveva, nel passato, pensato di farsi prete; in seguito aveva preferito seguire il suo destino sociale, non senza aver pregato lungamente Dio di accordargli una sposa, la cui devozione ardente fosse conforme alla sua. Era un uomo profondamente cristiano ma anche di mondo; così Barbara si trovò a frequentare l’alta società della capitale, che rimase incantata dalla sua bellezza e dalla sua grazia e la soprannominò « la bella Acarie ». Lei tuttavia non si fece ammaliare da quel mondo scintillante; diede esempio a tutti della possibilità di vivere una vita religiosa e conforme ai comandamenti di Dio, pur essendo impegnata come madre e moglie, prova vivente di come i coniugi cristiani possano proseguire insieme nella via della santità; si preoccupò soltanto di corrispondere alla grazia del Signore con il perfetto adempimento dei suoi doveri, sia verso il marito che verso i sei figli che ebbe, così come nella conduzione della casa e nei confronti dei dipendenti. Il maggiore dei figli, Nicolas, si sposerà a 20 anni; Pietro e Giovanni diventeranno religiosi e le altre tre sorelle saranno future carmelitane scalze; di queste la maggiore sarà un giorno sottopriora della propria madre, ad Amiens e poi Priora ad Orléans.
Barbara, dopo il matrimonio, si era molto infervorata alla lettura di un libro di M. Roussel, consigliata dal suo direttore spirituale: da quel momento ebbe importanza per lei solo l'Amore di Dio, che poi in lei s'incarnava in quello del prossimo.
Ecco la formula ch'ella trovò e che noi vedremo diventare il motto della sua esistenza: " È troppo avaro colui a cui Dio non basta ", cioè " è veramente troppo insaziabile colui al quale Dio non basta ".
Già nella sua casa Madame Acarie si consacrò ad una vita attiva, propria di una madre di famiglia. Non lasciò per questo l'orazione, che le rivelerà le vie mistiche dei grandi fiamminghi e spagnoli. Ella formò a questa vita di preghiera i suoi figli, i domestici, condividendo anche con la sua cameriera, futura carmelitana, notti di preghiera e di mortificazione. Fu figlia devota della Chiesa e partecipò all’azione di contrasto contro l’eresia protestante che cercava di estendersi in Francia. Dio la favorì con grazie mistiche straordinarie ma anche mandandole prove esteriori ed interiori. 
Sopraggiunsero tempi difficili: al periodo della prosperità succedette quello della sventura. I fatti della guerra civile, le guerre di religione, che videro in campo gli Ugonotti ed i cattolici, e la sconfitta del partito, in cui Pierre Acarie si era troppo impegnato, portarono la famiglia alla rovina. Il marito, ardente cattolico, militava contro Enrico di Navarra che aspirava, protestante, al trono di Francia; nella lotta impegnò tutto il patrimonio, in contrasto con la famiglia. Durante l’assedio di Parigi nel 1590, sebbene allora avesse soltanto 24 anni, Barbara si prodigò in opere di carità, preoccupandosi della salvezza anche spirituale delle persone che assisteva. Dopo la disfatta della Lega cui apparteneva, Pierre fu esiliato da Enrico di Navarra, che divenne Enrico IV; rischiò di essere giustiziato, i creditori gli si ritorsero contro; mentre la moglie e i figli si videro privati del tetto, degli abiti e del pane.
La famiglia Acarie, il cui capo non contava più nulla civilmente, dovette ricorrere, per la sua sussistenza, alla carità di ricchi parenti, che voltarono loro la schiena, con lo scopo di dare loro una forte lezione.
Ospitata da sua cugina, Madame de Berulle, Madame Acarie ricorse ai giudici, che la fecero molestare dai loro valletti. Ella però sollecitò quei personaggi a salvare i propri beni e ricuperare le confische sulle proprietà del marito.
Dopo aver donato largamente l'elemosina, ella apprese l'umiltà del mendicante, gioiendo ogni giorno interiormente di dovere tutto a Dio. Le ingratitudini le ferirono il cuore, ma, per quattro anni, Barbara Acarie lottò instancabilmente per i figli e il marito. Grazie al suo coraggio, alla sua perseveranza e anche alla sua politica, riuscì a ricuperare tutti i beni del marito e nel 1598 Pierre Acarie poté rientrare a Parigi, ristabilito nella sua carica di consigliere. Finalmente così casa Acarie divenne il centro della migliore società della Parigi devota.
La stessa Regina Maria de' Medici apprezzò le capacità di questa donna, favorita, si diceva, di stati mistici straordinari.
Non le mancarono altre traversie, di salute questa volta. Mentre andava a trovare suo marito, una caduta da cavallo le spezzò il femore, che si ruppe poi ancora tre volte, in seguito ad altre cadute; ella soffrì terribilmente. I medici, volendo aggiustarlo, finiranno per lasciarla ammalata per tutti i suoi giorni.
Il suo stesso sposo la mise molto alla prova: le lasciò il governo completo della famiglia e l'accoglienza di tutti i visitatori, che per altre venivano proprio per parlare con lei. Pierre riconosceva la sua inettitudine per gli affari e quindi scaricava tutti i problemi sulla moglie, della quale aveva la massima fiducia. Volle tuttavia sottolineare la sua autorità, esigendo che ella rientrasse dai suoi acquisti e dalle visite all'ora stabilita e accumulando ordini e contrordini, che però lasciarono la moglie ugualmente in perfetto buon umore.

Dal 1599 al 1613, anno della morte di Pierre Acarie, si può affermare che le grandi iniziative religiose del tempo, siano passate fra le mani e nella casa di Madame Acarie.

In casa Acarie si raccolsero tutti coloro che a Parigi vivevano la preoccupazione di avere in Francia una riforma cattolica, la conversione del clero e dei fedeli e di far tornare nella società la cosiddetta devozione.
Lo stesso S. Francesco di Sales, nel 1602, conobbe Madame Acarie. Egli le fece da guida spirituale e mise in atto un intervento decisivo, per introdurre in Francia il Carmelo riformato di S. Teresa.
Al circolo Acarie appartenne anche un prete normanno di una famiglia di mercanti spagnoli, stabilitasi in Francia da un secolo: Giovanni Quintanaduanas de Brétigny, che aveva cercato da venti anni di fare entrare in Francia il Carmelo riformato.
Egli aveva tradotto in francese le opere di Santa Teresa, che Madame Acarie si fece leggere. Ella ne venne influenzata nella sua vita di orazione, che si ancorava alla persona di Gesù Cristo, centro della spiritualità teresiana. Nel 1601 Madame Acarie ebbe una visione: Teresa di Gesù le disse che Dio l'aveva scelta per stabilire in Francia le Carmelitane riformate.
I suoi consiglieri ritennero che la visione venisse da Dio, ma anche che il progetto fosse irrealizzabile. In tre anni invece il progetto si realizzò.
Dalla Spagna, il 29 agosto 1604, giunsero in Francia, scelte e guidate da suo cugino, il card. Pietro de Berulle, sei Carmelitane Scalze fra cui una futura beata Anna di s. Bartolomeo e una futura Serva di Dio, Anna di Gesù. Madame Acarie agì anche in questa impresa con lo stile che caratterizzò tutta la sua vita: dopo aver pregato ed essersi assicurata della Volontà di Dio, ella si armò di pazienza e di perseveranza. Portò avanti il suo progetto con tenacia e non si lasciò distogliere dal suo scopo.
Fu determinante l'intervento di Francesco di Sales nel 1602, che ottenne dal Papa Clemente VIII che le Carmelitane non fossero soggette ai Carmelitani, ma a tre preti secolari. Nel frattempo Madame Acarie formò spiritualmente tre giovani ragazze, che avrebbe fatto entrare nel monastero. Si trattava però di trovare il terreno e di costruirvi il monastero. Ella cominciò a erigere l'edificio senza possedere la somma, fidandosi della Provvidenza di Dio.
I Carmelitani, prima della partenza delle monache, vollero una somma per finanziare il loro eventuale ritorno, qualora l'impresa si fosse mostrata deludente. Il 18 ottobre 1604 le Carmelitane, con grande concorso di folla, poterono finalmente entrare nel nuovo Carmelo parigino, che prese il nome dell’Incarnazione.
Alle tre giovani formate da Madame Acarie, si aggiunse per prima la sua stessa cameriera. La comunità crebbe poi al punto tale che, già nell'anno successivo, si poté fondare il secondo Carmelo francese.

A questo Carmelo ne seguirono tanti altri. Barbara Avrillot ebbe la felicità di vedere entrare nel Carmelo tutte e tre le sue figlie e l’espandersi delle sedi anche a Pontoise, Digione, Amiens, Tours nel 1605/06.

A Madame Acarie restava ancora di portare a termine la vocazione sentita fin dalla gioventù; nel 1613, il marito Pietro si ammalò gravemente e dopo nove giorni morì con la pace dell’uomo giusto, assistito dalla santa vedova confortata dalla celeste conferma della sua salvezza eterna. Libera ormai da ogni dovere e legame terreno, Barbara, a ben 48 anni di età, decise di farsi lei pure carmelitana e scelse il monastero più povero e più remoto (Amiens), dove entrò il 7 aprile 1614. Ancora una prova tuttavia l'attendeva: ella avrebbe voluto entrare come sorella conversa, mentre tutti la vedevano come una monaca corista. Non solo, ma le fu proposto addirittura di essere eletta Priora. Ella rifiutò; entrò e rimase semplice conversa di velo bianco, prendendo il nome di Maria dell’Incarnazione. Si trattò per lei di un vero sacrificio, non perché sentisse ripugnanza per l'umiltà di questa condizione, ma perché si privava di tutte le ore che le monache passavano in coro, recitando la Liturgia delle Ore.
Da parte dei Superiori del Carmelo non si insistette molto perché le sue estasi si manifestavano proprio durante la preghiera.
Emise la Professione ad Amiens e poi, per la cagionevole salute, il 7 dicembre 1616, fu trasferita nel Carmelo di Pontoise. Quando la salute glielo permetteva, trascorreva la sua vita quotidiana fra la cucina, il lavaggio dei piatti e i servizi o assistendo le sorelle ammalate; soffrì molto per le incomprensioni sorte con l’avvento di una nuova priora proveniente da un altro Carmelo.
D'altra parte la sua esperienza in fatto di costruzioni e di conduzioni di monasteri, la conoscenza di medicine e di piante medicinali, come pure i suoi consigli spirituali, erano al servizio della Comunità.
Ella visse così la sua via di infanzia spirituale, via di spogliamento e di amore, che si manifestava con un fervore particolare per Gesù Bambino; la mangiatoia e la Croce erano i due volti del mistero dell'Incarnazione.
Diceva spesso: " Egli si è fatto piccolo, per insegnarci a diventare piccoli: quand'è che saremo piccoli? Vedere un Dio bambino! Vedere un Dio abbassarsi così! ".
Dopo una lunga malattia, ella rese l’anima a Dio il giorno di Pasqua del 18 aprile 1618; il suo corpo riposa nella cappella del Carmelo di Pontoise.
Le vicissitudini legate al decreto di Papa Urbano VIII, fecero sì che la causa di beatificazione venisse ripresa e aperta solo nel 1782 e conclusa con la cerimonia di beatificazione da parte di Papa Pio VI il 5 giugno 1791.

 

 

23 Aprile: Beata Teresa M. Manetti

  

La vita di questa beata fin dall'infanzia fu segnata dalla sofferenza. Nacque il 2-3-1846 in San Martino, frazione del comune di Campi Bisenzio (Firenze), da Gaetano Manetti, umile pollaiolo, e da Rosa Rigagli, severa e saggia donna di casa. Fu battezzata il giorno dopo con i nomi di Teresa, Adelaide e Cesira, ma in famiglia fu chiamata abitualmente Bettina. A tre anni rimase orfana di padre. Di lei e del fratellino Raffaele, di diciotto mesi, si prese cura la madre la quale, benché ridotta quasi in miseria, non perse la sua fiducia in Dio.

Bettina per due o tre anni imparò i primi rudimenti del sapere da una maestra della parrocchia di San Lorenzo in Campi, ma fu aiutata a supplire alla deficienza dell'istruzione dall'acutezza dell'ingegno e dall'amore alla lettura. In Campi Bisenzio, alla scuola di una Ancella di Maria Addolorata, imparò pure a cucire, a ricamare, e a fare la treccia di paglia, necessaria alla confezione dei cappelli, con cui potè guadagnare qualche soldo, ma non debellare la povertà. Più avanti negli anni confesserà: "Per me era una festa, quando la mamma, con un soldo di caffè, ci preparava in un tegamino la colazione; o se poteva apparecchiarci la tavola. Allora mio fratello mi diceva tutto contento: "Non ci confondiamo, Bettina; sta zitta, sarà quel che Dio vorrà! Io, te e la mamma dobbiamo andare tutti e tre in paradiso". Un mattina, poi, che a scuola potei condire col succo di limone il mio tozzo di pane, - mi piacevano tanto i limoni e la mamma per accontentarmi me ne aveva comperato uno scarto su un barroccino - mi parve il più lauto pranzo".

Chi aiutò Bettina a crescere nella virtù fu la zia paterna, di nome Concetta. Difatti, ogni tanto la invitava a tenere a freno le proprie passioni, specialmente la curiosità. Ricevuta la cresima, il 25-3-1857 in San Pietro in Ponti, e fatta la prima comunione forse l’8-5-1859, la beata cominciò a sentire una grande attrattiva verso l'Eucaristia. Più tardi dirà: "Quando ero bambina, se venivo a sapere che in qualche chiesa si teneva Gesù esposto, ero tanto felice di andare a far l'ora di adorazione e, per stare più raccolta, cercavo sempre di mettermi in un cantuccio: provavo tanta consolazione che ci sarei rimasta tutto il giorno, se non avessi avuto paura di far brontolare la mamma, e quando venivo via, avevo in me tanta gioia per essere stata un poco con Gesù, che mi pareva di volare. Fin da allora ebbi un gran desiderio dell'adorazione perpetua al SS. Sacramento".

Crescendo in età capitò anche a Bettina, esuberante e ambiziosa per temperamento, di indulgere alquanto alla vanità femminile benché la mamma le ripetesse: "Non ti voglio vedere con codesti riccioli; tutti ti guardano". Fu corteggiata da un giovane, ma a nessuno ella donò il proprio cuore. Un giorno di festa, mentre si aggirava per le vie del paese elegantemente vestita, fu urtata da un calesse e scaraventata per terra. Costretta a tenere il letto per diverse settimane a causa di una frattura al piede, ebbe modo di riflettere sulla brevità e fragilità della vita, prendere la risoluzione di rinunciare alle proprie vanità e darsi completamente al servizio di Dio. La mamma percepì il cambiamento nella figlia, ma non lo apprezzò in pieno. Le disse, infatti: "Avevo caro che fossi più buona, ma non così".

Per espiare le sue mancanze di modestia, la beata cominciò ad apparire in pubblico in modo tanto dimesso e strano che mosse allo scherno e alle risa quanti la conoscevano. Più avanti negli anni confiderà alle sue religiose: "Quando mi detti tutta a Dio avevo diciannove anni, e nutrivo questo pensiero: 'Mio Dio, chissà che cosa pagherei per essere bella, ricca, sapiente e nobile! Così la mia offerta a Te, o Signore, sarebbe più generosa".

A San Martino una certa Assunta Biagiotti, sotto la direzione del Priore, Don Carlo Rindi, stava radunando delle giovani con l'intenzione di fondare un convento per l'istruzione e l'educazione della gioventù. Non potè portare a termine il disegno perché, per una grave malattia, morì. Bettina decise di subentrarle nel compito, ne parlò con Don Rindi, ma costui non volle accedere alle sue idee. La beata, invece di perdersi d'animo, continuò a pregare e a digiunare con le compagne che aveva accolto in casa per nove giorni di seguito. Una notte, la Serva di Dio Anna Maria Fiorilli, ved. Lapini, fondatrice a Firenze delle Suore delle Sante Stimmate, nel sonno le disse: "Bettina, con il Priore non farai mai nulla. A San Martino verrà presto un cappellano, e quello sarà il tuo aiuto".

Don Ernesto Jacopozzi (1844-1894) giunse a San Martino nel febbraio del 1871. Era rude, aveva l'aspetto di gendarme, ma era molto istruito e zelante. Stabilì la sua residenza accanto alla cappella di San Giusto e, poiché era solo, chiamò la mamma della Bettina a prestargli l'aiuto di cui in canonica aveva bisogno. Ebbe così modo di conoscere e apprezzare anche la bontà d'animo della figlia di lei e, a poco a poco, entrare nell'ordine dei suoi progetti apostolici. Sotto la sua guida, nel 1872, Bettina cominciò a fare vita comune con due amiche nella casa paterna. Poiché crescevano le giovani che desideravano mettersi alla sua sequela, il 15-7-1874, si stabilì in una casetta presa in affitto sotto l'argine del Bisenzio. Il popolo lo chiamò subito "il conventino". Alla beata fu così possibile estendere l'assistenza ai malati e ai bambini della prima comunione. Si iscrisse al Terz'Ordine Carmelitano, e da quel giorno si chiamò Teresa Maria della Croce perché, in un misterioso raccoglimento, era stata invitata da S. Teresa d'Avila a seguirla. Più avanti negli anni dirà: "Quando ero nel mondo, bastava che facessi una moda io, perché tutte le compagne mi imitassero. Dunque, pensai; se tutte vengono dietro a me nel fare il male, verranno anche nel fare il bene.

"E così fu, perché appena mi detti a Gesù, tante mie compagne mi venivano dietro. Il mondo, però, vedendo che gli rubavo la gioventù più bella, cominciò a perseguitarmi, fino ad aizzarmi contro i cani per le strade, ma con la frase di S. Teresa di Gesù: 'Niente ti turbi e niente ti sgomenti", superai anche i cani". Nel 1876 le giovani che avevano chiesto di fare con lei vita di preghiera, di lavoro e di penitenza erano già nove.

Il fine proprio dell'Istituto fu suggerito alla fondatrice dall'abbandono in cui venivano a trovarsi le orfane della Toscana. Per accoglierne il più gran numero possibile il 5-8-1879 acquistò la cappella di San Giusto con un campo e i locali annessi, li fece ingrandire e, alla fine del 1880, vi si trasferì con tutta la comunità di cui facevano pure parte oltre quaranta bambine orfane. Due anni dopo Mons. Eugenio Cecconi, arciv. di Firenze, andò a visitare l'Istituto di Madre Teresa e lo chiamò "un miracolo della Provvidenza".

La fondatrice fu dotata da Dio di una straordinaria destrezza nel disbrigo degli affari. Tuttavia rimane pur sempre un mistero come abbia fatto a raccogliere tante bambine, a nutrirle ed educarle senza rendite fisse. La sua fiducia nella Provvidenza era senza limiti. Invece di chiedere denari o mandare le suore alla questua, si limitava a dire al Signore: "Pensaci tu". Nel corso della vita potrà affermare: "Dio non mi ha mai fatto fare brutte figure".

Secondo Don Jacopozzi, che dell'Istituto fu il principale sostegno, Madre Teresa "non andò esente né da contrarietà, né da una specie di persecuzione da parte di chi avrebbe dovuto per coscienza incoraggiarla e proteggerla". Il riferimento al parroco di lei, Don Carlo Rindi, è evidente. Finché visse fu sempre di ostacolo a Madre Teresa, la quale non perse per questo la calma e la serenità di spirito.

Agli inizi della nuova famiglia religiosa era tanta la povertà e la scarsità di cibo che cinque congregate in breve tempo morirono a causa della tisi che avevano contratta. I malevoli videro nella sciagura un segno della disapprovazione del cielo e minacciarono addirittura di bruciare il convento. La beata, invece, che possedeva la fede di Abramo, vide nelle defunte cinque preziose pietre poste da Dio a fondamento dell'Istituto. Di coloro che la facevano tanto soffrire si limitava a dire: "Il Signore li illumini".

Il 23-1-1885 Madre Teresa della Croce e le sue discepole furono ammesse a partecipare ai privilegi e ai beni spirituali dell'Ordine dei Carmelitani dal Preposito generale, il P. Girolamo M. dell'Immacolata, più tardi Card. Gotti (1834-1916). La fondatrice ne trasse motivo per dotare il suo Istituto di una chiesa dedicata al S. Cuore, capace di ospitare le orfanelle, di cui si prendeva cura, e le congregate in continuo aumento. A chi le esprimeva la propria meraviglia per il coraggio di cui stava dando prova, rispondeva: "Ho fatto cassiere il Cuore di Gesù". Alle giovani che la seguivano e si mostravano timorose per l'incertezza del futuro, diceva: "Il Signore mi ha fatto capire che non ci abbandonerà, se saremo fedeli alle nostre promesse".

Don Ernesto, per mancanza di soldi, un giorno fu sul punto di licenziare i muratori che stavano costruendo la chiesa. La beata raccolse attorno a sé le orfane e disse loro: "Pregate, bambine; c'è una grazia per la strada". In quel momento si sentì suonare alla porta. Era l'avv. Francesco Donati, di Firenze, che portava una cospicua offerta di denaro a Madre Teresa. Lo accompagnavano le sue due figlie, una delle quali sarà la confondatrice, nel 1889, delle Figlie Povere di S. Giuseppe Calasanzio con il nome di Madre Celeste Donati (1848-1925). Aveva ragione Don Jacopozzi di dire: "Chi è santo può, nel fare il bene, aspettare aiuti miracolosi". E quanto si verificò più volte nella vita della beata. Difatti, a chi le chiedeva come facesse a tirare avanti con tanti debiti, rispondeva: "Non lo so neppure io". Oppure: "E’ tanto ricco Gesù".

Nella chiesa dedicata al S. Cuore, il 12-7-1888 Madre Teresa e le sue prime 27 consorelle vestirono l'abito delle Carmelitane. Da quel giorno la fondatrice si impegnò a trarre più abbondantemente dagli scritti di S. Teresa di Gesù e di S. Giovanni della Croce i lumi di cui aveva bisogno per formare alla vita contemplativa e attiva le sue figlie spirituali. Cercò di abituarle alla sincerità e alla generosità senza far pesare su di loro il suo temperamento ardente e risoluto. Sovente diceva ad esse: "Per Gesù tutto è poco; cerchiamo di essere generose; Lui non si lascia vincere in cortesia". Oppure: "Verrà un giorno in cui saremo felici di non essere state risparmiate". Sovente fu udita dire: "Diventi muta questa mia lingua se dovesse pronunziare una sola parola non indirizzata alla gloria di Dio".

Appena la fondatrice riuscì ad aprire le prime case in Toscana, la curia di Firenze, nel 1891, eresse il suo Istituto in congregazione di diritto diocesano. Quando, per la morte di Don Ernesto, rimase sola a portarne il peso, ne aveva già aperte cinque tra contrarietà di ogni genere e persino calunnie, da cui fu scagionata in seguito a una visita canonica voluta dall'arciv. Mons. Agostino Bausa.

Non contenta di lavorare per pagare cambiali e formare le sue carmelitane alla vita religiosa, Madre Teresa si adoperò pure per stabilire tra loro l'adorazione perpetua del SS. Sacramento a costo di passare come fanatica e visionaria. Con il permesso dell'ordinario del luogo, il Card. Bausa (+1899), la iniziò a Firenze, in determinati giorni, nella casa di Via della Scala. Con una illimitata fiducia nella provvidenza e la garanzia dei marchesi Roberto ed Emilia Antinori, comprò un campo adiacente alla casa, vi fece costruire la chiesa del "Corpus Domini" e, nel 1901, la fece benedire dal nuovo arcivescovo della città, Mons. Alfonso M. Mistrangelo. L'aggregazione del SS. Sacramento fu affiliata all'arciconfraternita Primaria di S. Claudio a Roma. Il compito dell'adorazione perpetua per la riparazione delle bestemmie e la conversione dei peccatori suscitò incertezze nei benefattori e nelle stesse religiose. La beata, senza turbarsi, passò una notte intera davanti al tabernacolo in preghiera. Il Signore la confortò con queste parole: "Ti sono forse mancato? E di che temi? L'anno scorso avesti per massima: 'Niente ti turbi'. Quest'anno avrai: 'Dio solo basta'".

Madre Teresa non riusciva a contenere la viva fiamma della carità racchiusa nel suo animo. Diceva: "Di tutti i cuori vorrei fare un cuore solo e lanciarlo nel Cuore di Gesù". Si adoperò, quindi, per aprire nuove case in Italia e nelle missioni di Siria, in ottemperanza ai desideri espressile, nel 1903, dal Priore generale dei Carmelitani Scalzi il quale, nel frattempo, ascrisse le suore di lei al Terz'Ordine Carmelitano. A chi le faceva notare che quei luoghi poveri e disagiati potevano costituire motivo di preoccupazione per le suore, rispondeva: "C'è Gesù. Se c'è Gesù possono starci anche le mie suore". Le regole e le costituzioni delle Carmelitane di S. Teresa di Firenze furono approvate da Pio X il 1-2-1904. Poche settimane dopo i membri dell'Istituto furono ammessi alla professione dei voti perpetui. In quella circostanza la beata vide che S. Giuseppe e S. Elia prendevano le religiose sotto la loro speciale protezione. Il 7-9-1904 fu radunato il capitolo. La fondatrice a pieni voti fu eletta superiora generale dell'Istituto. Una settimana dopo, festa dell'Esaltazione della Croce, l'avvenimento fu ricordato con maggiore solennità. Al termine del pranzo Madre Teresa intonò il suo canto preferito: "Evviva la croce", ma mentre le sue figlie, con ardore, proseguivano la strofa, allargò le braccia, si sollevò da terra e, per una decina di minuti, di tanto in tanto esclamò, tenendo lo sguardo fisso in un punto: "Ti amo, sì, ti amo!".

Alla fine del 1906 la vita della beata cominciò a volgere al tramonto a causa di un carcinoma all'utero che le causò sofferenze fisiche e morali inenarrabili. A una sua figlia spirituale confidò: "Nelle novene che facevo in onore della Madonna, mi sentivo un gran desiderio di chiedere croci, e benché mi ripugnasse persino il nome, pur mi sfuggivano di bocca delle giaculatorie con cui chiedevo di essere riempita di croci per tutta la vita".

Del resto, non lasciò ella scritto che "i santi non si fanno a pennello, ma a scalpello"?

Da tempo Madre Teresa andava soggetta a forti coliche intestinali ed a straordinarie perdite di sangue, ma le trascurò per un eccessivo sentimento di pudore. Per volere di Mons. Mistrangelo si fece visitare da un ginecologo il quale le prescrisse i bagni di Castrocaro Terme (Forlì), ma a nulla le giovarono. Oppressa dai dolori, invece di lamentarsene diceva: "Io sono disposta a patire così fino al giorno del giudizio per il bene dell'Istituto". Fu ricoverata nell'ospedale della maternità di Firenze e operata il 12-9-1908 di fìbro-epitelioma.

Dopo un periodo di riposo a Viareggio (Lucca), la beata potè riprendere i suoi compiti a San Martino, ma nel mese di settembre del 1909 il fibrocarcinoma cominciò a riprodursi in lei e a procurarle una flebite alla gamba destra e la peritonite con spasimi atrocissimi. Aveva pregato: "Signore, stritolami, spremimi, fammi colare a goccia a goccia nei serbatoi divini", ed era stata esaudita fino al punto di sentirsi mangiare internamente dai dolori. Il dott. Alfonso Cheli, che l'aveva visitata più volte, era persuaso che ella ritenesse i suoi atroci patimenti come un dono di Dio. Affermò: "Li sopportava con serena e profonda rassegnazione, non solo, ma chiedeva al Signore che li esacerbasse ancora di più come se volesse uniformarsi ai dolori della Passione e morte del Signore". Tuttavia ne fu parzialmente liberata dalle cure che, per un mese, ricevette a Firenze nella clinica "Casanova" allestita per le malattie nervose. Colà fu internata e isolata per una errata interpretazione dei fenomeni neuro- psichici che si verificarono in lei, effetto diretto dell'intossicazione e infezione del sistema nervoso prodotto dal carcinoma. Nonostante l'errore dei sanitari, ella diede ai medici e agli malati prove di eroica pazienza.

Depose il dott. Enea Fabbri, che la curava: "Vicino a lei si respirava un'atmosfera di pace e di beatitudine sovrumana che le sue sofferenze non arrivavano a turbare, perché sapeva sopportarle con sublime rassegnazione e quasi con gioia, benedicendo il suo Gesù che gliele inviava per provare la sua fede".

Nell'avvicinarsi delle feste di Natale, Madre Teresa volle lasciare "Casanova". Rimase ancora un po' di tempo prima nella sua casa di Firenze, poi a Viareggio, ma quando capì che la sua fine era prossima volle fare ritorno a Casa Madre, dove morì il 23 aprile 1910 dopo avere mormorato: "Oh, è aperto! Ecco vengo, vengo!". Ai suoi funerali prese parte una folla enorme di gente. Da tutti era stimata una santa. Lasciava aperte 17 case in Toscana e 3 nel Medio Oriente.

Paolo VI ne riconobbe l'eroicità delle virtù il 23-5-1975 e Giovanni Paolo II la beatificò il 19-10-1986 durante la sua visita pastorale a Firenze. Le sue reliquie dal 22-4-1912 sono venerate a San Martino nella chiesa di Casa Madre dell'Istituto.  

 

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