DICEMBRE
Beato Bartolomeo Fanti S. Maria Maravillas di Gesù
San Giovanni della Croce B. Maria degli Angeli
5 Dicembre: Beato Bartolomeo Fanti
Il beato Bartolomeo Fanti nacque a Mantova in anno sconosciuto. Di lui si sa che, da giovane, entrò a far parte dell’Ordine Carmelitano, nella cosiddetta ‘Congregazione Mantovana’ della sua città.
Era così paziente, umile e di carattere così affabile e grato, da guadagnare in un istante i cuori ed infiammarli dell'amore più ardente di Dio.
Per 35 anni, nella chiesa carmelitana della
sua città, fu direttore spirituale e rettore della Confraternita della B.V.
Maria, per la quale scrisse la regola e gli statuti. La regola che comprendeva
dodici capitoletti, era molto semplice e concisa e nello stile richiamava quella
del primo Ordine dei Carmelitani.
Umile e mansueto, fu per tutti un esempio di preghiera, generosità e fedeltà nel servizio del Signore. Innamorato della Divina Eucaristia, centro della sua vita apostolica, passava ai piedi del santo Tabernacolo molte ore del giorno e della notte. Spesso si scioglieva in lacrime commovendo gli astanti. L'olio della lampada che ardeva davanti al Santissimo, dal Beato usata per ungere gli ammalati, spesso procurava loro una immediata guarigione.
Si distinse per la devozione più tenera per
la Santissima Vergine. Morì a Mantova il 5 dicembre 1495; successivamente il suo
corpo, ancora incorrotto, ebbe varie traslazioni: nel 1516 nella Cappella della
Madonna; dopo la soppressione del convento nel 1783, fu traslato in S. Marco e
da qui nel 1793 nella Cappella della Madonna Incoronata in cattedrale.
Il suo culto come Beato fu confermato da Papa S. Pio X il 18 marzo 1909.
11 Dicembre: S. Maria Maravillas di Gesù
14 Dicembre: San Giovanni della Croce
16 Dicembre: B. Maria degli Angeli
Maria
degli Angeli nacque a Torino il 7 gennaio 1661, ultima degli undici figli del
conte Donato Fontanella di Santena e donna Maria dei conti Tana di Chieri; per
parte della madre fu parente di san Luigi Gonzaga. Al Battesimo ricevette il
nome di Marianna che mutò poi in quello di Maria degli Angeli, quando entrò
nell'Ordine Carmelitano.
Ancor fanciulla si mostrò dotata dei più bei doni: una grande bontà di cuore,
perspicacia, maturità di senno, una soavità tale di modi che la resero amata ed
ammirata da tutti. Natura vivacissima e volitiva, dimostrò subito non solo una
forte propensione per la preghiera, ma anche una precoce femminilità e un forte
senso dell’onore.
Docile alle amorose cure ed agli insegnamenti dei suoi cari, fedele agli impulsi
della grazia, prima ancora dei sette anni, Marianna ebbe una grande inclinazione
alle pratiche di pietà: si dilettava nel fare altarini, recitare orazioni, udire
parlare di Dio e dei santi. Sovente, mentre le sue sorelle si trastullavano,
ella si intratteneva con il fratellino a parlare di cose celesti. Radunava
parecchie compagne per insegnare loro le verità della religione e discorrere
delle virtù cristiane, accendendole di amore per Dio e per il Paradiso.
Ella cresceva in grazia e bontà, quando, tra i sette e gli otto anni, fu colpita
da una così grave malattia che i medici disperarono di salvarla e la madre,
desolata, pensò di raccomandarla alla Vergine Immacolata. Fiduciosa nell'amore e
nella potenza della Regina del Cielo, accostatasi al letto della figlia, la
invitò a raccomandarsi di cuore alla Madonna affinché la guarisse. Nell'udire
nominare la Beata Vergine, la fanciulla moribonda, raccolto il filo di vita che
ancora le restava, con cuore pieno di amorosa fiducia, proruppe in queste due
parole: «Maria, aiutatemi!». La Vergine le apparve visibilmente,
circonfusa di gloria e portante sulle sue braccia Gesù. Scomparsa la visione, la
fanciulla si trovò libera da ogni male e, in segno di riconoscenza, propose di
spendere per Lei e per il suo Gesù quella vita da Lui ricevuta. Si pose con
diligenza ad eseguire il suo proposito: soddisfare cioè il suo vivo desiderio di
farsi santa. Un giorno, per divina disposizione, trovò abbandonato un Crocifisso
dalle gambe e braccia spezzate e lasciato tra i rifiuti. Era talmente sporco che
avrebbe dovuto causarle nausea. Ma Gesù, che non si era lasciato trovare a caso,
le passò il cuore con una delle sue spine. Marianna, intenerita a quella vista
dolorosa, lo prese riverente in mano quasi avesse ritrovato il suo tesoro e,
alzatolo, se lo strinse teneramente al cuore. Ripostolo in una piccola cuna,
umilmente prostrata a terra, lo venerò tra preghiere e lacrime. Le parvero
crudeltà inaudite i maltrattamenti da Lui sofferti, e si sentì rinfacciare
nell'interno di esser lei la crudele che, con i suoi peccati, l'aveva ridotto in
quello stato. Combattuta tra il desiderio di Dio e le vanità mondane, soffriva
un profondo disagio interiore, finché non si arrese completamente ai richiami
dello Spirito, scegliendo per sempre il “suo” Crocifisso, l’interlocutore
preferito dei suoi appassionati colloqui interiori.
Questi tenerissimi sentimenti di fede, di pietà e di amore le conquistarono più
il cuore del suo Gesù e le accesero maggiormente l'amore per lui. Da quel
giorno, sollecita e ingegnosa nell'alimentarlo in sé, rubava tutte le ore che
poteva per intrattenersi in dolci colloqui con il suo Crocifisso Signore. Dopo
una breve esperienza di educanda presso le Monache Cistercensi di Saluzzo, si
dedicò con maggiore impegno alla vita di pietà e intensificò il suo rapporto con
Dio nell’orazione, che la attirava in modo irresistibile. Ma dovette lottare
ancora duramente con se stessa per sfuggire alle lusinghe della vanità e al
falso scintillio del mondo vuoto e frivolo che la circondava e dal quale veniva
un po’ condizionata sia per volontà della mamma, sia per la sua naturale
inclinazione verso il bello, l’eleganza e soprattutto la danza, una vera
passione. Ma - come lei stessa dichiarò - alla fine “voltai le spalle al
mondo e ai suoi detti” e non tornò più indietro dalle sue risoluzioni. Il
Signore non si lasciava vincere “in cortesia, facendomi molte grazie e favori”,
e le fece sentire forte e chiaro il richiamo alla vita religiosa. Una nuova
grazia finì per renderla tutta sua. Un giorno, forzata dalla madre, si trovava
davanti allo specchio per acconciarsi i capelli, quando, invece della sua
immagine, vide riflessa quella di Gesù, lacero dalle ferite, trapassato dalle
spine, pallido, livido, tutto grondante sangue. A quella vista la fanciulla
rimase attonita, si commosse nel più profondo dell'animo, proruppe in dirotto
pianto e stabilì sull'istante di troncare quel filo che ancora le impediva di
essere tutta di Gesù. Gettò da sé ogni ornamento, calpestò ogni rispetto umano e
da allora in poi stimò suo dovere non essere più così arrendevole nel tollerare
quelle vanità. Cominciò ad affezionarsi alla meditazione in cui passava buona
parte del giorno. Anche di notte, quando gli altri dormivano profondamente, ella
si alzava ed in ginocchio sul pavimento godeva con il suo Dio il più salutare
riposo.
Talora durante il giorno, per essere più lontana dallo strepito, saliva al
solaio della casa e dava libero sfogo alla sua devozione.
Per l’incontro fortuito con un carmelitano scalzo durante una ostensione della
Sindone a Torino, optò decisamente per il Carmelo.
Superata l’opposizione della famiglia, poco più che quindicenne, il 19 novembre
1676 entrò nel monastero della Carmelitane Scalze di S. Cristina, fondato nel
1639 dai Principi di Savoia. Il 26 dicembre 1676 emise la professione religiosa.
La santità di una persona la si misura
dall'umiltà, fondamento di ogni perfezione. La nostra Beata fece suo programma
il precetto di Gesù: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore».
Questa umiltà interna fu un bel frutto che andava raccogliendo dalle sue
preghiere e meditazioni. Nell'orazione la sua mente si illuminava di luce
celeste, acquistando una conoscenza profonda della grandezza e maestà di Dio,
conoscenza che, a sua volta, le riversava in cuore un sentimento così basso di
se stessa, da ritenersi la creatura più miserabile del mondo. Scoperta la sua
profonda bassezza, la sua insufficienza per il bene, la capacità per il male,
l'inclinazione al peccato, si copriva di confusione, e avrebbe voluto vedersi
consumata nell'umiliazione e nel disprezzo. Altre volte, nel considerare la
somma bontà di Gesù e gli innumerevoli favori da Lui ricevuti, capiva sempre più
l'obbligo di amarlo con tutto il cuore e quanto fosse grande colpa e
ingratitudine la più lieve mancanza. Sentendosi peccatrice e ingrata, si stupiva
che Iddio la conservasse in vita, e ad ogni leggera colpa si struggeva in
lacrime. Più di una volta questa sua amarezza costrinse il Signore e la Vergine
a venirla a consolare e ad assicurarle il perdono. Non si pensi però che questo
sentimento di sincera umiltà l'avvilisse o la scoraggiasse: anzi, le ispirava
sempre maggior fiducia nella misericordia del Signore. Quando cadeva in qualche
difetto, non s'impazientiva contro se stessa, si umiliava tosto dinanzi a Dio,
Gli domandava perdono e riprendeva i suoi passi sul cammino della santità. Così
pure la diffidenza massima che aveva di sé, non la impedì mai dall'intraprendere
grandi imprese quando lo richiedesse la gloria di Dio. Umile nella sua
insufficienza, fu altrettanto fiduciosa nella potenza di Dio; non vi era
difficoltà o contrasto che valessero ad allontanarla dal suo servizio: poteva
dire di sé come san Paolo: «Posso tutto in Colui che mi conforta». Lo
spirito d'umiltà operava in lei il contrario di ciò che suole operare in altri
lo spirito di superbia: aborriva i discorsi inutili, i fronzoli nel linguaggio e
simili meschinità. Dal tratto schietto, dolce, sereno, molto gentile, rifuggiva
da qualsiasi ipocrisia. Chi non l' avesse conosciuta a fondo, avrebbe
difficilmente compreso come una santità così elevata potesse adattarsi ad ogni
sorta di persone con tanta affabilità e piacevolezza. Si mostrava schiva ad ogni
lode; quando non riusciva a impedirle si concentrava in se stessa e arrossiva in
volto; mentre godeva quando si vedeva trascurata, corretta e punita. Mostrava
questa gioia dal modo con cui ringraziava quando era avvisata per qualche
inavvertenza. I Superiori, sapendo del suo desiderio di umiliazione e per
fortificarne la virtù, coglievano le minime occasioni per correggerla anche
aspramente; ella ascoltava rispettosamente, dichiarandosi meritevole di maggiori
riprensioni e di castighi. Lo stesso sentimento della propria bassezza le faceva
abbracciare con evidente giubilo i lavori più umili: la pulizia del pollaio,
della cucina, l'assetto del refettorio. Uffici che si addossava per alleggerire
le Sorelle, sia quando era semplice religiosa sia quando fu eletta Priora.
Dotata di una forte personalità, di temperamento equilibrato e riflessivo, di
spiccate doti di intelligenza, ma soprattutto per la sua eccezionale statura
spirituale, ancora giovanissima, dopo aver attraversato un durissimo periodo di
prove interiori (di cui esiste una narrazione particolareggiata nella
corrispondenza col suo direttore spirituale, il padre Lorenzo Maria di S.
Michele, e in una relazione scritta per ordine dei Superiori), fu incaricata
della formazione delle novizie, nelle quali trasfuse l'autentico spirito
teresiano. Dovendo correggere i difetti altrui, lo faceva con somma prudenza e
dolcezza; qualora taluna si fosse offesa per le sue parole, andava quanto prima
a pregarla di voler compatire l'obbligo suo che così richiedeva e
l'indiscrezione del suo zelo. Per un profondo sentimento della sua indegnità si
presentava per ultima alla Comunione, sempre per ultima esponeva i suoi giudizi,
come ultima voleva essere trattata in ogni cosa. Le monache e i Superiori, ben
conoscendo la virtù e la capacità di suor Maria degli Angeli, si sentirono
ispirati ad eleggerla Superiora. Non avendo ancor raggiunta l'età richiesta
dalle leggi della Chiesa per il superiorato, fu necessario ricorrere alla Santa
Sede per la dovuta dispensa. Grazie alla fama di santità della Beata pervenuta
anche a Roma, non fu difficile ottenere il favore. Nel 1694, a soli trentatré
anni, fu eletta priora e venne confermata in tale carica altre tre volte. Fu il
periodo della sua piena maturità umana e spirituale: il Signore la favorì di
grazie mistiche straordinarie, cui ella corrispose con una generosità senza
riserve, facendosi davvero “tutta a tutti”, con umiltà, dedizione, spirito di
servizio, attenzione delicata ai bisogni delle sorelle, sollecitudine amorosa
per la loro crescita spirituale, fedeltà piena al carisma dell’Ordine, con una
particolare predilezione per la S. Madre Teresa, per la quale nutrì una
singolare devozione e dalla quale fu ricambiata con eccezionali favori.
Ma la sua santità brillò soprattutto nell’amore ardente per le anime. Alimentato
dall’esperienza forte della preghiera, sostenuto dalla penitenza generosa e da
una carità ardente, il suo zelo si concretizzò “in opere ed opere” a favore di
chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto o della sua preghiera. Malgrado i
suoi sforzi per tenersi nascosta e farsi disprezzare, non riuscì nel suo
intento. La fama della sua santità varcò presto le soglie della clausura,
soprattutto per le frequenti visite al monastero da parte delle principesse
reali e del loro seguito. Persone di ogni ceto e categoria ricorrevano a lei per
consiglio o per interporre la sua intercessione presso il Signore. Tra questi i
personaggi più in vista del ducato Sabaudo, a cominciare dallo stesso principe
regnante, il Duca Vittorio Amedeo V, sua madre (la famosa Madama Reale Giovanna
Battista), la Duchessa Anna d’Orleans, sua moglie, e molti esponenti della
nobiltà piemontese, oltre alcune figure di eminenti religiosi ed ecclesiastici,
tra cui quella del beato Sebastiano Valfré. Molta gente di Torino e di lontani
paesi accorreva al monastero di santa Cristina, avida di parlare con suor Maria
degli Angeli ed ascoltare da lei parole di vita. La sua carità spiccò
mirabilmente nelle giornate dell'assedio di Torino; quando la Patria versava nel
maggior pericolo. Impetrò dal Signore la fine della guerra e la liberazione di
Torino nel 1696: ascrivendo ciò all'intercessione di S. Giuseppe. Nel generale
sbigottimento ricorse a lei ogni categoria di persone: sostenne la fiducia delle
donne afflitte e timorose, provvide quelle che mancavano di viveri, ne animò e
sostenne altre per infondere coraggio nell'opera di difesa della città; ai
soldati feriti e affamati provvide cibo, medicinali e bende. Nelle novene della
Madonna del Carmine, dell'Assunta e della Natività, implorò con preghiere e
dolorose penitenze la salvezza della Patria. Pochi anni dopo si rivolse alla
Vergine per ottenere nuovamente la salvezza di Torino dall'imminente pericolo di
assedio ed invasione delle truppe francesi. In ricordo della vittoria venne
costruito a Superga il famoso tempio votivo (1706). Desiderosa di sfuggire a
tale notorietà e spinta dal desiderio di fondare un nuovo Carmelo che potesse
accogliere le giovani che non potevano essere ricevute a S. Cristina per
mancanza di posti, avviò allo scopo trattative con i Superiori e con la Corte.
Superate innumerevoli difficoltà, il 16 settembre 1703 ebbe la gioia di vedere
inaugurato il Carmelo di Moncalieri, senza però potervisi trasferire per
l’opposizione dei Savoia che avevano esercitato forti pressioni sui Superiori
per impedire che la Madre si allontanasse da Torino. Di qui continuò a
provvedere le monache di Moncalieri del necessario, occupandosi della loro
formazione spirituale e vigilando con cuore di madre sul buon andamento della
comunità. Questo fino alla sua morte.
Il 9 dicembre fu assalita da febbre altissima. Le preghiere della Comunità e
l'arte medica a nulla valsero. I suoi dolori - come attestarono i medici -
toccarono il limite massimo. Ma la Beata non chiese mai ristoro o sollievo; non
fu mai udita dare un lamento o un gemito. Quando il 13 dicembre poté ricevere la
Comunione fu udita prorompere in questo sfogo: «Gesù caro, se volete darmi
più patimenti, datemeli; vi chiedo solo che mi lasciate la mente lucida affinché
possa amarvi sino alla fine. Del resto fate di me quello che vi piace». La
religiosa che l'assisteva, nell'udire quelle parole, la supplicò di non chiedere
altra sofferenza poiché ne aveva già troppa. La madre rispose: «Ancora,
ancora, figlia mia! Sapesse il bene che sta racchiuso nel dolore!». Il
confessore, nel vederla gioiosa fra tanti spasimi, pensava che il Signore le
avesse tolto ogni dolore e la interrogò. Ma la Madre diede questa spiegazione: «Soffro
molto, molto, padre mio!... Ma offro tutto a Dio con la maggior gioia perché non
potrei mai dire "basta" nel dolore, conoscendo il bene, che sta nascosto nel
soffrire per amor di Dio». Avvisata dal confessore che i medici avevano
ordinato un salasso nella mano, e interrogata da lui se, per amore di Gesù,
desse volentieri quel sangue, ella rispose: «O padre, se lo dò volentieri!?
Sì, sì, sino all'ultima goccia!». Presentendo ormai prossima la fine e
desiderando munirsi dei conforti religiosi, fece la sua professione di fede.
Disse di cuore che ringraziava l'infinita Misericordia di Dio per averla fatta
nascere in seno alla vera Religione e le concedeva ora di morire vera figlia
della Chiesa Cattolica. Chiese poi di poter ricevere Gesù, che era stato in ogni
tempo la sua speranza e la delizia del suo cuore. Il giorno 15 dicembre, col più
vivo amore, ricevette il santo Viatico. Gli atti di viva fede, di ferma
speranza, d'infiammata carità che uscirono dalle sue labbra dimostrarono quali
fiamme veementi le ardevano in petto. Rapita in estasi, parve a tutti un
serafino del Cielo. Nel vedere attorno a sé le sue figlie spirituali, le esortò
all'esatta osservanza delle Regole, al culto dell'obbedienza, alla perfetta
abnegazione di se stesse e all'interna unione con Dio. Quindi domandò perdono a
tutte per gli scandali dati con le sue mancanze e tiepidezze. Nella mattinata
del giorno 16, interruppe improvvisamente il suo placido e soave raccoglimento
balzando dal letto, quasi volesse spiccare il volo verso un Bene che le si
avvicinasse. Interrogata dove volesse andare, rispose, tutta accesa in volto: «Il
mio caro Gesù! Il mio caro Gesù! Lasciate che io vada incontro al mio caro Gesù!».
Entrato il Provinciale e interrogatala che cosa facesse in quel tranquillo
silenzio, rispose: «Sto col mio Gesù, tra il patire e il gioire». Alla
domanda se desiderasse guarire, con voce chiara rispose: «Ho il desiderio di
essere finalmente disciolta e d'andarmene per essere con Cristo». Il Padre
Provinciale e Mons. Costanzo a un certo punto le imposero di benedire le sue
figlie. Con voce piena di confusione rispose: «Come mai una povera peccatrice
deve dare ad altri la benedizione?». «La dia per obbedienza» replicò
il Provinciale. A quell'ordine, l'umile serva di Dio inclinò il capo, si rivolse
verso il muro, chiuse gli occhi estraendo dall'altra parte del letto la mano
destra per esprimere quanta umiliazione le costasse quell'atto. Le monache,
senza ordine, si fecero avanti per ricevere prostrate la benedizione della loro
Madre. Tracciò su ciascuna il segno di croce e pur senza poterle distinguere, a
ciascuna diede una raccomandazione molto adatta ai loro bisogni. Ne è prova
questo particolare:
improvvisamente entrò la principessa di Carignano che si accostò frammischiata
alle religiose per essere benedetta.
Alla nobile signora, la Beata rivolse queste parole che meravigliarono le
astanti: «Nostro Signore la benedica e le dia un vero distacco da tutte le
vanità del mondo... perché... ecco qui dove tutto finisce». Sul far della
sera le fu amministrato il Sacramento dell'Unzione degli infermi che aumentò le
sue energie spirituali e la sua serenità. Poi le monache iniziarono la recita
delle Litanie mariane a cui l'inferma rispose con leggero e dolce movimento
delle labbra.
Era la preghiera alla potente Regina che la Beata aveva sempre amato e aveva
invocato durante la sua vita col nome caro di «Madre dolcissima». Quelle
invocazioni parvero avvicinare di più il Cielo alla terra: il nome di Maria
spoglia la morte del suo terrore e la converte in un sonno placido. Infatti la
Beata parve gustare le gioie di quel Cielo a cui aveva aspirato sempre. Non
faceva altro movimento oltre quello di volgere, di quando in quando, uno sguardo
tenero a Gesù Crocifisso. Il confessore, sollecitato dalle monache mosse a pietà
per quella dolorosa attesa della loro Madre, col Crocifisso in mano si accostò
all'inferma e con voce autorevole le disse: «Madre Maria degli Angeli, siete
vissuta finora per obbedienza: se il buon Gesù vi vuole con Sé, per obbedienza,
rendete l'anima a Chi ve la diede e andate a lodarlo nell'eterna gloria». A
quelle parole la moribonda, quasi si risvegliasse ad un festoso annunzio, aprì
gli occhi e, sorridente, lanciò uno sguardo amoroso al Crocifisso. I presenti si
convinsero che Gesù si mostrava in quell'istante alla sua diletta sposa. Poi la
Beata volse attorno un tenero sguardo di addio alle sue figlie. Infine, senza
alcun movimento e sforzo, spirò nelle braccia del suo Gesù. Erano circa le
ventidue e trenta del 16 dicembre 1717. Compiva quasi 57 anni di età.
La beata Maria degli Angeli è stata la prima carmelitana italiana a salire all'onore degli altari: a proclamarla beata fu Pio IX il 25 aprile 1865. Le sue spoglie si venerano nella chiesa delle carmelitane scalze a Moncalieri (Torino).
In occasione del primo centenario della
Beatificazione (1965), il Cardinale Anastasio Ballestrero, allora Preposito
Generale dell’Ordine, in una lettera commemorativa inviata al Carmelo di
Moncalieri, fondato dalla Beata, affermava: "La Beata Maria degli Angeli si
presenta a prima vista, una autentica figlia della S. Madre Teresa, nella quale
è difficile scorgere tratti o caratteri particolari estranei a quelli che
costituiscono l’essenza e offrono la fisionomia tipica della carmelitana scalza.
È il più grande elogio che di essa si possa fare ".
E tracciandone un brevissimo profilo spirituale aggiungeva: "E risaputo in
quale misura essa abbia vissuto le angustie e i dolori della
terribile notte dello spirito... Ma forte di una fede e di una
speranza incrollabili, obbedendo e combattendo, diceva il suo sì generoso a
Dio... in perenne preghiera, in un incontro senza soste nella fede con Colui che
sembravo nascondersi, ma che pur le si rivelava in tutto, al punto che
confessava: "Il mio buon Gesù, lo trovo dappertutto e non sono mai sazia di
trattenermi con Lui".
Da tale comunione di fede e di amore con il Signore sbocciavano il suo
affetto filiale per la Chiesa e la sua passione per la salvezza delle
anime".
Dagli scritti:
“Quante volte sono stata ladra, Dio mio, del tempo che mi avete lasciato per
amarvi, e io l’ho speso per offendervi, ma col cuore del buon ladrone dirò:
Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno!“
“Siamo nelle sue mani, siamo nelle braccia della sua Misericordia, che vi è
da temere?”
“La voce di Dio è delicata e non si può udire ove vi sono grandi e molti
rumori, e perciò procurate di tenere il cuore libero da ogni cosa affinché possa
godere del Signore”
“L’anima nello stato dell’ aridità è senza dolcezze di Dio, ma non senza Dio
… Dio le è vicino, Dio è nel suo cuore, sebbene paia che dorma come dormiva
appunto Cristo, ben nostro, sulla barchetta con i suoi Apostoli”
“Quando commettete qualche infedeltà, non vi angustiate, ma con umiltà e
confidenza ricorrete subito al Signore: non fuggite dall’Offeso, ma
abbracciatelo come amante e domandate perdono“
“La bontà del Signore è maggiore di quanti mali e peccati possiamo
commettere, e prima ci stanchiamo noi di offenderlo, che egli di perdonarci”
PREGHIERA A S. GIUSEPPE
Gesù, Maria, Giuseppe,
beatissima trinità terrena,
io vi venero e adoro col più profondo affetto.
Quando sarà che l’anima mia
Viva tutta di Gesù,
tutta per Gesù,
tutta con Gesù!
Voi, o Maria, vera madre di Gesù,
Voi, o Giuseppe, prediletto padre di Gesù,
ottenetemi che io,
non abbia cuore che per Gesù.
Vivere senza Gesù
Mi sia più duro che il morire.
Morire con Gesù
Mi sia più dolce di ogni vita.
Santissimo mio padre Giuseppe,
vero sposo di Maria, degno padre di Gesù,
ottenetemi che io viva sempre
come vera serva di Gesù, vera figlia di Maria.
Nelle mani vostre
Raccomando il povero mio spirito
E la desolata anima mia,
affinché nell’ora che uscirà da questo corpo,
la riceviate nelle vostre santissime braccia
e la riponiate eternamente
in quelle di Gesù e di Maria. Amen.