GENNAIO
B. Ciriaco Elia Chavara S. Pier Tommaso
S. Andrea Corsini Sant’ Enrico de Ossò
3 Gennaio: B. Ciriaco Elia Chavara
Il beato nacque il 10-2-1805 a Kainakary, villaggio della parrocchia di Chennankary; nell'attuale eparchia metropolitana di Changanacherry (Malabar o Kerala), India, secondogenito di 6 figli che Ciriaco ebbe da Maria Thopil, entrambi cristiani di rito siro-malabarico molto devoti. Al fonte battesimale gli fu imposto il nome del padre: Kuriakose (Ciriaco). Ancora bambino, la mamma lo portava ogni anno al Santuario di Vechoor per offrirlo a Maria SS. nella festa della sua Natività. Man mano che cresceva in età, gli insegnava le principali verità della fede e le preghiere del buon cristiano, gli inculcava la devozione alla S. Famiglia di Nazaret, e ogni tanto gli diceva: "Ricordati che sei servo della Madre di Dio".
Dopo aver frequentato la scuola privata elementare diretta da un induista, a 11 anni Ciriaco si sentì chiamato a farsi sacerdote. Il P. Tommaso Palakal, malpan cioè professore e rettore del seminario di Pallipuram, ne fu informato mentre si trovava in casa di una sua zia, residente in un villaggio poco lontano da quello del Beato. Parlò con lui, rimase soddisfatto della sua buona indole e della sua intelligenza, e lo invitò a entrare in seminario. I genitori, però, disposero che, fino ai 13 anni, facesse vita comune con il parroco del paese perché prendesse coscienza dei doveri e dei ministeri sacerdotali.
In seminario, sotto la guida del P. Palakal, Ciriaco studiò bene la lingua liturgica siriaca. La morte dei genitori e dell'unico fratello maggiore non lo distolse dalla vita intrapresa, nonostante lo sconforto che ne provò. Soddisfatto dei suoi progressi nella disciplina e nello studio, il rettore lo mandò prima nel seminario di Verapoly, e poi lo affidò al parroco di Thanky perché gli insegnasse il latino. Tra tutte le materie, però, il Beato predilesse la S. Scrittura perché era conscio che, senza la scienza sacra, un pastore non può essere molto utile alle anime.
Quanto il P. Palakal stimasse il suo alunno per l'esattezza con cui osservava il regolamento, il fervore con cui pregava davanti al SS. Sacramento e la benevolenza con cui trattava tutti i condiscepoli, lo dimostra il fatto che, quando doveva allontanarsi dal seminario, ne affidava la direzione al diacono Chavara.
Il Beato fu consacrato sacerdote il 29-11-1829 da Mons. Maurilio Stabilini, Vicario Apostolico ad interim dal 1827 al 1831 di Verapoly, diocesi di rito latino. Celebrò la prima Messa con l'intenzione di ottenere da Dio la grazia che il P. Tommaso Porukara, segretario di Mons. Stabilini, e il P. Tommaso Palakal, riuscissero ad attuare l'idea che avevano concepito di fondare un Istituto religioso, “la Congregazione dei Servi di Maria Immacolata”, proprio del Kerala, per quei sacerdoti che aspiravano a vivere in comunità con i voti religiosi per dedicarsi meglio alla cura delle anime. Al progetto si era associato pure lui fin da quando, nel 1829, Mons. Stabilini aveva dato il suo assenso.
Dopo l'ordinazione sacerdotale P. Chavara fu dato prima in aiuto al rettore del seminario di Pallipuram, poi dopo che aveva fatto il parroco per circa 2 anni a Tekkan, fu trasferito nel 1833 a Mannanam affinché sorvegliasse la costruzione del monastero di S. Giuseppe, di cui il P. Pomkara l'11.5.1831 aveva posto la prima pietra. Mentre vi si organizzava la vita religiosa, i due principali artefici dell'iniziativa vennero a morire, il P. Palakal nel 1841 e il P. Porukara nel 1846, cosicché tutta la responsabilità della continuazione dell'opera cadde sulle spalle del P. Ciriaco, nominato malpan cioè professore in scienze ecclesiastiche, nel 1844, da mons. Francesco Saverio Pescetto, OCD, Vicario Apostolico. Nuovi membri si aggiunsero all'incipiente congregazione in cui la giornata era divisa tra la preghiera liturgica, diurna e notturna, e la predicazione di missioni al popolo e di esercizi spirituali al clero. Il Vicario Apostolico Mons. Ludovico Martini (1844-1852) ne rimase tanto entusiasta che 1'8-1-1849 proclamò ufficialmente P. Chavara e i suoi Servi di Maria Immacolata predicatori della parola di Dio.
I membri dell'Istituto continuarono a crescere, cosicché l' 8-12-1855, il Vicario Apostolico Mons. Bernardino Baccinelli, OCD (1853-1868), eresse il monastero di S. Giuseppe in congregazione religiosa con la denominazione di “Servi di Maria Immacolata del Carmelo”. Lo stesso giorno il Beato fu ammesso alla professione dei voti nel Terz’Ordine dei Carmelitani Scalzi, con il nuovo nome di Kuriakose Elias della S. Famiglia, alla presenza del P. Marcello Berardi, OCD, delegato del Vicario Apostolico.
Subito dopo, come Priore, il P. Ciriaco
ricevette la professione dei suoi primi 10 confratelli sacerdoti, ai quali
furono date le stesse regole e costituzioni dell'Ordine Carmelitano Scalzo con
pochi cambiamenti. Nella guida dell’Istituzione dimostrò le doti straordinarie
di formatore religioso, convinto e profondo, dalla spiritualità fondata su un
grande culto all’Eucaristia, una devozione filiale alla Madonna, e una fedeltà
totale alla Chiesa Cattolica, accoppiati ad un grande spirito di preghiera e
mortificazione; e con il praticare metodi nuovi di apostolato evangelico.
La nuova famiglia religiosa ebbe subito un mirabile sviluppo, motivo per cui fu
aggregata all'Ordine Carmelitano Scalzo l' 1-10-1860 come Terz'Ordine. I membri
si chiamarono Fratelli Carmelitani di Maria Immacolata. Per supplire alla
deficienza dei missionari europei, essi intensificarono la cura delle anime con
la predicazione e l'amministrazione dei sacramenti di modo che la vita cristiana
nel Kerala ben presto rifiorì. Difatti, nel darne relazione alla Congregazione
di "Propaganda Fide" Mons. Baccinelli li definì "anima" e "nervi" del suo
Vicariato.
Il co-fondatore della Congregazione, il P. Chavara, che si considerava soltanto un povero strumento nelle mani di Dio e si proclamava felice di compierne la volontà, precedeva i confratelli nell'osservanza della regola e nel sacro ministero. In ogni circostanza della vita desiderava essere unito a Cristo Gesù con il pensiero e con le opere, pur considerandosi un grande peccatore. Avevano quindi ragione gli induisti di considerarlo "un uomo di Dio", i suoi discepoli un essere "simile a un angelo" e i fedeli "uomo pieno di Spirito Santo".
Subito dopo l'ordinazione sacerdotale il Beato aveva cominciato a dispensare a piene mani la parola di Dio nelle chiese con grandi frutti spirituali benché, a quei tempi, fosse poco in uso la predicazione nelle parrocchie. Ne rimase talmente entusiasta che ingiunse ai Fratelli Carmelitani di tenere sempre l'omelia nelle domeniche e nelle feste di precetto; e di predicare ogni anno le missioni al popolo. Fu talmente grande la soddisfazione che Mons. Ludovico Martini provò per quella iniziativa che, con lettere pastorali, volle raccomandare i predicatori alla carità dei fedeli. Essendo inoltre persuaso che la vita cristiana del popolo dipende dalla buona formazione dei sacerdoti, d'accordo con i suoi sudditi P. Chavara decise di istituire un seminario in cui gli aspiranti alla vita sacerdotale fossero convenientemente preparati al sacro ministero. Mons. Baccinelli apprezzò molto l'iniziativa e volle che non soltanto a Mannanam, ma anche negli altri monasteri dell'Istituto fossero istituiti dei seminari.
Poiché i cattolici del Malabar in quel tempo
non disponevano ancora di una tipografia, P. Chavara, che capiva l'importanza
della stampa per la propagazione e la conservazione della fede, con grande
sacrifici ne impiantò una a Mannanam dalla quale fece uscire libri di grande
utilità per tutti. Nel Malabar i cattolici non disponevano neppure di una scuola
pubblica. Il Beato, in vista degli studi superiori, istituì a Mannanam una
scuola di sanscrito, l'affidò a un induista e volle che fosse frequentata anche
dai seminaristi. Nel Malabar in quel tempo non esistevano istituti religiosi
femminili che si occupassero della formazione della gioventù. Dopo un tentativo
fallito nel 1860, il Beato, sempre d'accordo con i suoi sudditi e coadiuvato e
sostenuto da altre degne figure di carmelitani, fra cui l’italiano padre
Leopoldo Beccaro, suo confessore e direttore spirituale, fondò nel 1866 a
Konammavu un convento femminile del Terz’Ordine Carmelitano, il cui scopo era
quello soprattutto di insegnare alle ragazze le virtù cristiane e alcuni lavori
professionali. Oltre a religione, lingua, matematica e musica, padre Chavara e
padre Leopoldo, istituirono corsi di cucito, per realizzare opere artigianali e
artistiche, per fabbricare i rosari, invitando persone esperte per
l’insegnamento.
Il grande sogno di padre Chavara era quello di un futuro nel quale le donne
sarebbero state ad un livello elevato, sia in campo educativo che culturale,
anche se le maggiori difficoltà provenivano dalle diverse tradizioni culturali
che esistevano nella società indiana dell’epoca.
Entrambi quindi non disdegnarono, nel 1868, ad andare casa per casa per
convincere i genitori a mandare le ragazze a scuola.
P. Chavara non si occupò soltanto del bene spirituale dei malaharesi, ma anche di quello corporale. Difatti già nel 1843 aveva istituito la "Confraternita della buona morte" con lo scopo di distribuire, una volta all'anno, nella festa di S. Giuseppe, cibo e vestiti alle famiglie più povere. Nel 1869 istituì a Kainakary, suo paese natale, una "Casa di Carità" per la gratuita ospitalizzazione e cura dei poveri soli e malati. I Vicari Apostolici, che apprezzavano assai la capacità e lo zelo illuminato del Beato, ogni tanto gli affidavano vari compiti da svolgere nel loro territorio, come quello di riordinare le parrocchie, comporre le liti ed esaminare le loro richieste. Nel 1861 il P. Chavara fu chiamato addirittura a lavorare perché lo scisma non spaccasse in due la chiesa malabarese. Un vescovo intruso, Mons. Tommaso Rochos, proveniente da Baghdad, era giunto nel Malabar, e pretendeva di avere giurisdizione su quelle terre contro gli ordini della S. Sede e senza alcun legittimo mandato. Appena si diffuse la notizia del suo arrivo, il Beato, consigliato da Mons. Baccinelli, scrisse una lettera pastorale alle chiese siro-malabariche per avvertire tutti, sacerdoti e fedeli, del pericolo incombente, ed esortarli a stare in guardia, per non cadere nello scisma, come diversi avevano già fatto, e mettere in pericolo la loro salvezza eterna. Poiché Mons. Rochos basava la sua autorità e la sua giurisdizione su presunte lettere del papa, il Beato non esitò a scrivere direttamente a Pio IX (+1878), domandando spiegazioni. Il Papa rispose con il documento "Perlibenter vestras". Per combattere efficacemente lo scisma dilagante, Mons. Baccinelli nominò P. Chavara suo vicario generale per le chiese siro-malabaresi. Il Beato si adoperò con tutte le forze per arrestare lo scisma e non si diede pace finché l'intruso non venne scomunicato e costretto a fare ritorno al paese di origine. Anche dopo la partenza di Mons. Rochos P. Chavara non si stancò di lavorare per ricondurre all'unità della chiesa tutte le parrocchie che se ne erano separate. Nel darne notizia al Prefetto della Congregazione di "Propaganda Fide" Mons. Baccinelli chiamò il suo vicario generale "uomo veramente cristiano, virtuoso, prudentissimo, che in questa circostanza si è mostrato con i fatti attaccatissimo alla religione cattolica e alla S. Sede... godendo egli presso tutti di grande stima, rispetto e autorità".
Estinto lo scisma, il Beato, per volontà del Vicario Apostolico, si occupò dell'emendamento dei libri liturgici della chiesa siro-malabarica, vale a dire del Divino Ufficio, che abbreviò per dare a tutti la possibilità di recitarlo; del Rituale della Messa e del Calendario Liturgico, che riscrisse per dare a tutte le chiese la possibilità di celebrare con uniformità i divini misteri. I libri liturgici da lui riordinati rimasero in uso fino al 1962, anno in cui furono tradotti in lingua vernacola malayalam.
Benché oberato da molteplici attività, il
Beato trovò anche il tempo di scrivere, oltre le lettere personali e le
circolari per la sua famiglia religiosa, le Lamentazioni dell'anima contrita
in circa 3000 versi, riguardanti la vita di Gesù e Maria; le Liriche da
cantarsi in casa del defunto in circa 1000 versi, riguardanti la morte, le
sue circostanze e la vita futura; Meditazioni sulla vocazione divina,
Meditazioni e Colloqui con Gesù, Maria e altri santi. Padre Chavara fu
chiamato “il grande Padre Priore”: egli fondò e formò i primi due Istituti
religiosi della Chiesa in India, i quali sono diventati strumenti di multiforme
sviluppo e progresso del cristianesimo.
Il Testamento, scritto pochi mesi prima della morte, conteneva
esortazioni ai confratelli e alcuni programmi per lo sviluppo di queste due
congregazioni da lui fondate che, nel 1986, contavano rispettivamente 1450 e
4600 membri. Il P. Leopoldo Beccaro nel 1870 scrisse a Roma a dei Fratelli
Carmelitani di Maria Immacolata: "Tali furono i frutti delle loro fatiche che il
Vicariato muta aspetto, e se quella cristianità si vede ora così bene istruita
nei suoi doveri, meglio attaccata alla religione e più obbediente agli ordini
del Vicario Apostolico, è dovuto, a detta di tutti, all'infaticabile zelo di
questi religiosi". P. Chavara fu il primo ad istituire, nel Kerala, l’adorazione
delle Quarantore; alla Sacra Famiglia affidò le sue Istituzioni e, sul letto di
morte, rivelò ai suoi addolorati figli e confratelli che era stato sempre devoto
della Sacra Famiglia sin da quand’era bambino e che sempre era stata davanti ai
suoi occhi. Durante la sua vita il beato andò soggetto a reumatismi, elefantiasi
e febbri malariche. Verso il mese di ottobre 1870 fu colpito da vertigini,
vomiti, dolore agli occhi e al capo. Morì con l'innocenza battesimale, come
dichiarò egli stesso nell'accomiatarsi dai suoi discepoli, il 3-1-1871, a
Koonammavu, quasi cieco, dopo 3 mesi di acute sofferenze, da lui sopportate con
molta pazienza. Fu inumato sotto l’altare della chiesa di S. Filomena di
Konnanam. Il P. Beccaro scrisse una nota sulla sua morte e la concluse
esclamando; "O anima bella e santa, prega Gesù per noi!". Nella biografia, che
pochi mesi dopo scrisse di lui, mise in risalto la sua "profonda umiltà,
straordinaria pietà e perfetta obbedienza verso i superiori ecclesiastici".
Il 9-5-1889 le reliquie del Beato furono traslate a Manannam e sepolte nella chiesa di S. Giuseppe, annessa alla prima casa della congregazione, dove sono ancora venerate. Il processo di beatificazione, per svariati motivi, iniziò solo nel 1957 e poi introdotto presso la competente Congregazione a Roma, il 15 maggio 1980; il 7 aprile 1984 fu dichiarato venerabile e infine l’8 febbraio 1986 Papa Giovanni Paolo II , durante il suo viaggio apostolico in India, l’ha beatificato solennemente a Kottayam (Kerala), insieme alla prima beata indiana la clarissa Alfonsa dell’Immacolata Concezione.
Pier
Tommaso nacque in un villaggio del Périgord meridionale (Francia) nel 1305
circa, da una poverissima famiglia. Entrato a vent'anni nel severo ordine
monastico dei Carmelitani, nel 1345 venne eletto Procuratore Generale
dell'Ordine presso la Curia papale ad Avignone. Abile negli affari, brillante
predicatore, zelante nel bene, si fece notare, pur nella modestia di
carmelitano, dalla Curia pontificia. Vescovo di Patti e Lipari nel 1354, fu più
volte Legato Pontificio in delicate missioni di pace fra i principi cristiani,
per la difesa dei diritti della Chiesa presso i più potenti monarchi del tempo e
per promuovere l'unione degli ortodossi bizantino - slavi con la Chiesa romana,
per la crociata antimusulmana e la liberazione della Terra santa.
Innocenzo VI lo mandò a Genova, per negoziare la pace
tra Milano e la Repubblica di Venezia. Subito dopo, nominato Vescovo,
rappresentò il Papa presso l’Imperatore Carlo IV. Poi fu inviato in Serbia, per
sanare uno scisma sorto in quel paese. Si fece mediatore tra l’Ungheria e
Venezia, che covavano vecchi rancori. Finalmente giunse a Costantinopoli, per
trattare l’unione della Chiesa greca con quella cattolica, che ebbe luogo 80
anni dopo, nel concilio di Firenze.
Tornato ad Avignone, fu trasferito nel 1359 alla sede
di Corone (Peloponneso) come Legato Pontificio per l' Oriente; nel 1363 fu
promosso Arcivescovo di Creta e l'anno seguente Patriarca latino di
Costantinopoli, nel quale ufficio si acquistò la fama di apostolo dell'unità
della Chiesa.
Ebbe
addirittura il comando di un corpo di spedizione. In Oriente, Pietro Thomas
aveva conosciuto un altro Pietro, Re di Cipro, isola cristiana per sentimenti e
tradizione, ma stretta come un cuneo tra le coste dei paesi infedeli.
Il Re di Cipro vagheggiava una Crociata contro i Turchi, e Pietro Thomas, Legato Universale per l’Oriente, aderì a questa idea. Nel 1365 il corpo di spedizione al suo comando si unì all'esercito cipriota. Lo sbarco avvenne sul delta acquitrinoso del Nilo, e con un abile colpo di mano venne occupata la città di Alessandria. Ma l’esercito cristiano non poté reggere al contrattacco dei Turchi. Fu necessario il reimbarco, dopo appena una settimana.
San Pietro Thomas fu nel mezzo di quella battaglia, con in mano, non la spada, ma la Croce. Venne ferito, riuscendo però a salvarsi. Tornò a Cipro. Da buon ambasciatore, voleva tornare dal Papa, per riferire sull'esito sfortunato della spedizione. Ma per le feste di Natale venne colto dai brividi. Le ferite ricevute in battaglia lo consumavano nella febbre dell'infezione.
Morì nell'isola di Cipro, nel convento di Famagosta, nel giorno dell'Epifania del 1366, dopo aver distribuito tutti i suoi averi.
La conquista di Cipro da parte dei Turchi, nel 1571 e il terremoto del 1735 tolsero ogni memoria del Santo in quell'isola.
Il culto di Pier Tommaso è celebrato solo nell'Ordine
Carmelitano e nella diocesi di Perigueux (Francia): un modesto tributo di gloria
ad un umile carmelitano, maestro di teologia, devotissimo alla Vergine
Immacolata, assunto alle più alte cariche della diplomazia pontificia, ardente
pacificatore coinvolto in una fatale impresa armata: una figura europeistica ed
ecumenica del sec. XIV.
Nel secolo XIV la famiglia Corsini occupava a Firenze le prime magistrature della Repubblica. Il padre del nostro santo, Nicolò, dalla prima moglie ebbe cinque figli. Sposò in seconde nozze Gemma, della nobile famiglia degli Stracciabendi, ma non avendo avuto figli dopo sette anni di matrimonio, essi fecero voto dinanzi alla Madonna del Carmine di consacrargli tra i Carmelitani il primogenito che avrebbero avuto. Furono esauditi. Prima della nascita del figlio, la madre ebbe uno straordinario sogno: le sembrò di essere madre di un lupo feroce che, entrato nella chiesa del Carmine, si trasformò in mansueto agnello. Il figlio sospirato nacque il 30 novembre 1301 e fu chiamato Andrea dal nome del santo del giorno. La nobildonna ne ebbe cura come la pupilla dei suoi occhi, ma nonostante ciò l'adolescente crebbe di temperamento ardente, scontroso, insofferente di ogni correzione, amante più dei cani e dei cavalli che dello studio e dei doveri del buon cristiano. Verso i quindici anni, dopo una scenata in famiglia, la madre gli disse, angosciata: "Vedo bene che tu sei quel lupo che mi è stato mostrato in sogno!". Andrea, sorpreso, le chiese spiegazione di quelle parole e allora, la pia genitrice soggiunse: "Quando ti portavo in seno, ho sognato che avrei dato alla luce un lupo, ma essendo entrato in una chiesa, esso fu subito cambiato in agnello. Tuo padre e io ti abbiamo consacrato al Signore e noi attendiamo da te un ben altro tenore di vita".
Quelle parole impressionarono vivamente Andrea. Tutta la notte fu tormentato da rimorsi. Il giorno dopo corse a gettarsi ai piedi della Madonna del Carmine e, come mite agnello, chiese con insistenza l'abito religioso al P. Girolamo Migliorati, provinciale dei Carmelitani toscani. A uno zio che tentava di riportarselo a casa, prospettandogli un eccellente matrimonio, rispondeva: "Che ne farei di questi beni, se poi non avessi la pace del cuore?". La sua consolazione era di sfaccendare in cucina e di andare a questuare nei rioni in cui era vissuto scapestrato per essere deriso dai cattivi compagni d'un tempo. Dopo la professione religiosa si diede con impegno allo studio delle scienze sacre, alla preghiera e alla penitenza. Nella chiesa del Carmine si conserva ancora, come preziosa reliquia, la cintura di lamine di ferro con cui tormentò i suoi fianchi finché visse. Tre giorni la settimana digiunava a pane e acqua. Quando fu ordinato sacerdote la sua famiglia fece grandi preparativi per la prima messa. Andrea ottenne invece dai superiori la licenza di andarla a celebrare nel piccolo romitaggio chiamato i Boschi, a quindici chilometri da Firenze, dove godette di una visione della Vergine. Il Corsini per un certo tempo predicò a Firenze, poi pare che il capitolo provinciale di Pisa lo abbia inviato all'università di Parigi perché si perfezionasse nello studio della teologia per tre anni. Al ritorno si fermò qualche giorno ad Avignone, presso suo cugino Pietro Corsini, uditore generale del Sacro Palazzo, più tardi vescovo di Firenze e Cardinale (1370). Visitando con lui la chiesa di Notre-Dame-des-Doms, restituì la vista ad un cieco che gli chiedeva l'elemosina.
Il capitolo provinciale, radunato a Firenze, nominò il Corsini priore del convento della suddetta città (1337). Tra i fiorentini i suoi sermoni, avvalorati dal dono della profezia e dei miracoli, produssero mirabili frutti di pietà. Egli aveva il dono dell'eloquenza e di saper parlare ai cuori delle folle che si recavano ad ascoltarlo dalle zone più sperdute, confortando tutti coloro che a lui si recavano per ritrovare la pace interiore. Operò pure molte conversioni. Degna di menzione è quella del cugino Giovanni Corsini che egli aveva guarito da un'ulcera al collo. Il capitolo generale di Milano (1345) lo incaricò di commentare la Bibbia a titolo di lettore nello studio generale di Parigi; quello di Metz (1348) lo elesse provinciale della Toscana. Durante tale carica indisse due capitoli, riordinò la provincia devastata dalla pestilenza, e promosse a Firenze la costruzione della chiesa del Carmine in cui sarebbe stato seppellito. In tutte queste mansioni dovette eccellere per intelligenza e capacità se, dopo la morte del vescovo di Fiesole, vittima delta peste nera (1348-49) che aveva spopolato l'Europa, il capitolo dei canonici desse a succedergli Andrea. È vero che, appena ne ebbe sentore, era corso a nascondersi in un sotterraneo della certosa di Erma, a tre miglia da Firenze, ma fu scoperto e promosso Vescovo da papa Clemente VI, il 13-10-1349. È tradizione che un bambino gli sia apparso per dirgli: "Non temere, io sarò il tuo custode e Maria SS. sarà ovunque il tuo aiuto e la tua protezione”. Durante i ventiquattro anni di episcopato il Santo non addolcì per nulla le austerità. Oltre che portare il cilicio e una cintura di lamine di ferro, ogni giorno, dopo aver detto i sette salmi penitenziali, si disciplinava a sangue recitando le litanie. Dormiva sopra un letto fatto di sarmenti di viti. Per non detrarre tempo alla meditazione e allo studio delle Scritture non si concedeva ricreazioni. S'intratteneva il meno possibile con le donne, e rifuggiva dal prestare l'orecchio agli adulatori. Come Vescovo volle vivere a Fiesole, rinunciando al comodo palazzo fiorentino che era stato sede dei suoi predecessori e, appena poté trasferirsi, si sforzò di riparare le immense rovine materiali e spirituali che la peste e le frequenti guerre avevano accumulato nella diocesi. Manifestò singolare zelo nella predicazione, nella preghiera, nella visita alle parrocchie, nella difesa della libertà della Chiesa contro soprusi e ingerenze, come pure nella carità verso gli umili e i diseredati.
Cominciò a riformare il clero imponendo ai parroci la residenza, dandone l'esempio e deponendo senza misericordia i contumaci. Sottoponeva a un serio esame, dal punto di vista della dottrina e dei costumi, i candidati che voleva promuovere; nelle visite pastorali costringeva i parroci a separarsi dalle persone sospette e puniva i renitenti con la privazione degli uffici e dei benefici; vietava infine ai chierici di occuparsi di affari temporali o di accettare funzioni civili o amministrative. Nel 1372 per il clero istituì una Confraternita intitolata alla SS. Trinità e, anticipando i decreti del Concilio Tridentino, emanò precise norme circa il reclutamento e la preparazione culturale e spirituale dei candidati al presbiterato. Sant’Andrea Corsini ai suoi preti chiedeva di vivere in modo conforme alla santità ed alla responsabilità del loro stato perché con l'esempio e le opere contribuissero alla formazione scientifica e morale dei futuri sacerdoti.
Nei diocesani, che frequentemente visitava, combatté l'usura e i matrimoni clandestini e difese i diritti della Chiesa contro coloro che, approfittando della malvagità dei tempi, ne avevano usurpato i beni.
Il patrimonio ecclesiastico era da lui considerato proprietà dei poveri. Sin dai primi anni dell'episcopato si scelse un procuratore tra i Carmelitani perché facesse ricerche dei beni e dei legati in favore dei poveri, allo scopo di restituirli all'amministrazione ecclesiastica e ristabilirli nella loro primitiva destinazione. Egli si mostrò sempre preoccupato del sollievo degli indigenti, che la peste nera aveva spaventosamente moltiplicati. È scritto di lui: «Non poteva pensare ai poveri senza piangere». Le inesauribili risorse della sua carità non si spiegano senza la diretta assistenza del cielo. Egli fece compilare liste di poveri vergognosi per soccorrerli segretamente con soldi, viveri e vestiti. Più di una volta fece ricostruire a sua spese le case dei miseri, distrutte dalla guerra o dai fenomeni atmosferici. Tutti i giovedì lavava i piedi ai poveri che riceveva. Un giorno ne trovò uno che rifiutava quel servizio perché aveva le gambe coperte da ulceri. Il santo gli fece dolce violenza. Al termine dell'opera pietosa che gli prestò il povero si trovò interamente guarito.
Lo zelante pastore ebbe grande cura della
conservazione delle chiese, disponendo ingenti somme per la costruzione e il
restauro di chiese e monasteri e soprattutto della cattedrale e dell'episcopato,
da secoli in stato di squallore. Egli fece rifare a nuovo il coro della
cattedrale, il tetto di S. Maria in Campo, il convento degli agostiniani e
incoraggiò la fondazione di un monastero di Cistercensi. Fu esemplare pure nel
filiale attaccamento alla Santa Sede, alla quale ogni due anni mandava una
relazione esatta della diocesi. Più di una volta dovette recarsi a tale scopo
fino ad Avignone dove risiedeva allora il Papa. Con tutte le forze cercò di
comporre contese tra parrocchie e conventi, tra famiglie e privati cittadini.
Anche le città di Firenze, Prato e Pistoia lo ebbero paciere. Urbano V nel 1368
lo nominò suo legato apostolico perché pacificasse Bologna.
Il Corsini si applicò all'ingrato compito con grande energia e, malgrado l'età avanzata, riuscì a riconciliare le opposte fazioni dopo aver colpito i contumaci di anatemi e sofferto il carcere a causa dei maneggi di Filippo M. Visconti il quale incitava i cittadini a ribellarsi al Pontefice.
Andrea morì poco dopo aver felicemente condotto a termine la legazione. La notte di Natale 1373, durante la Messa, gli apparve la Vergine e gli annunciò che il giorno dell'Epifania sarebbe morto. Assalito dalla febbre, mise in ordine la sua amministrazione. Il giorno stabilito si fece portare il Salterio, recitò insieme agli astanti i simboli degli apostoli, di Nicea e di S. Atanasio, pronunciò il primo versetto del Nunc dimittis e spirò.
I fiorentini invocarono il Santo Vescovo nei giorni della battaglia di Anghiari del 29 giugno 1440 contro le truppe del Visconti, capitanate da Nicolò Piccinino. Il Corsini apparve loro e promise la vittoria. È considerato per questo il protettore della città. I suoi resti, dapprima tumulati nella cattedrale fiesolana, furono trafugati dai Confratelli del Carmine, dove sono tuttora custoditi in una cappella fattagli erigere dalla famiglia Corsini e miracolosamente scampata all'incendio che devastò la chiesa del Carmine nel 1771. Papa Clemente XII, suo discendente, gli avrebbe poi dedicato nel 1734 un’altra splendida cappella in S. Giovanni in Laterano a Roma. Eugenio IV lo proclamò beato, e il fiorentino Urbano VIII lo santificò il 22 aprile 1629. La sua festa è celebrata a Firenze il 7 gennaio, dai Carmelitani il 9 gennaio e dalla Chiesa Universale il 4 febbraio.
27 Gennaio: Sant’ Enrico de Ossò
Enrico
nacque a Vinebre (diocesi di Tortosa, provincia di Tarragona, Spagna) il 16
ottobre 1840, terzo figlio di Jaime e Micaela de Osso y Cervello.
Giovanissimo sentì la vocazione al sacerdozio che venne appoggiata dalla madre
ma osteggiata dal padre. A dodici anni fu inviato a Quinto de Ebro ad imparare
l'arte tessile presso uno zio.
Enrico si ammalò seriamente e dopo la sua guarigione tornò a casa, fermandosi al
Santuario di Nostra Signora del Pillar per ringraziamento.
Nel 1854 morì la madre a causa del colera. Enrico venne inviato a Reus come
apprendista tessile. Trovò quindi una nuova casa nel monastero di Montserrat e
finalmente il padre comprese la sua vocazione.
Studiò a Barcellona e quindi a Tortosa dove il 21 settembre 1867 venne ordinato
sacerdote. Sin dagli anni del seminario si dimostrò «catechista geniale». Subì
il fascino dell'insegnamento spirituale di Santa Teresa di Gesù e ne promosse in
tutta la Spagna la devozione, fondando l'Arciconfraternita Teresiana, che già in
quel periodo dell’Ottocento raggiunse il numero di 140.000 iscritte. Pubblicò
diversi libri di pietà e di pedagogia, subito diventati celebri, fra cui «Il
quarto d'ora d'orazione» e la «Guida pratica del Catechista». Fu direttore di
anime, apostolo della catechesi ai fanciulli e ispiratore di movimenti
ecclesiali all'insegna del Vangelo. Nel 1873 fondò l'Associazione delle giovani
cattoliche figlie di Maria e Santa Teresa di Gesù.
Nel 1876 fondò la Compagnia di Santa Teresa una Congregazione religiosa
femminile con l'intento di ri-cristianizzare la società facendo leva
sull'educazione della donna e dei bambini. La congregazione ricevette
l'approvazione papale nel 1877 e a tutt'oggi presta il suo servizio in Europa,
Africa e Messico (Missionarie Teresiane).
Fu dedito alla predicazione e tra i primi all'apostolato della stampa (El
Hombre, El Amigo del Pueble), incontrando difficoltà, prove e sofferenze. Fu il
fondatore, inoltre, della rivista Santa Teresa di Gesù, periodico che si diffuse
rapidamente non solo in Spagna, ma anche in Europa e in America.
Morì improvvisamente nel convento francescano di Sancti Spiritus, a Gilet
(Valencia, Spagna) il 27 gennaio 1896. I suoi resti furono trasferiti nella
cappella delle Missionarie Teresiane a Tortona nel Luglio 1908. Beatificato il
14 ottobre 1979 a Roma da Papa Giovanni Paolo II, fu canonizzato a Madrid il 16
giugno 1993 dallo stesso Papa.
La Congregazione per il Culto Divino, con le facoltà
concesse dal Papa Giovanni Paolo II, in data 6 novembre 1998, ha dichiarato
Sant’Enrico de Ossó y Cervelló, Patrono dei Catechisti Spagnoli.
Dagli scritti
Pensare come Cristo Gesù, sentire come Cristo Gesù,
amare come Cristo Gesù, agire come Cristo Gesù, conversare come Cristo Gesù,
parlare come Cristo Gesù, in una parola conformare tutta la nostra vita a quella
di Cristo, rivestirci di Cristo Gesù: in questo consiste l'interesse unico,
l'occupazione essenziale e primaria di ogni cristiano. Perché cristiano
significa alter Christus, altro Cristo, e non si potrà salvare se non
colui che sarà trovato conforme all'immagine di Cristo. E per conformarci alla
vita di Cristo è necessario prima di tutto studiarla, conoscerla, meditarla, e
non solo nella corteccia esterna, ma penetrando nei sentimenti, affetti,
desideri, intenzioni di Cristo Gesù, allo scopo di poter fare tutto in unione
perfetta con Lui.
Gesù stesso, con la sua bontà e le sue parole, ci
invita a questo. Ma, come impareremo, ad esempio, la sua mansuetudine ed umiltà;
come in ogni azione ci porremo davanti a Cristo per imitarlo, se non conosciamo
i sentimenti del suo Cuore nel compierla? Perché Cristo ha vissuto, ha
mangiato, dormito, parlato, ha fatto silenzio, ha camminato, s'è stancato, ha
riposato, ha sudato, ha patito fame, sete, povertà, in una parola, ha lavorato,
ha patito, è morto per noi, per la nostra salvezza.
Per cui dobbiamo rappresentarci Gesù al naturale e nella realtà, e non in maniera teorica e ideale, ciò che porterebbe a non amarlo e imitarlo in tutto, come è nostro dovere. Gesù è nostro fratello, carne della nostra carne, sangue del nostro sangue, ossa delle nostre ossa. Questo è il mio Gesù, Dio e uomo vero, vivo, personale, che si lasciò vedere sulla terra; che visse e conversò con noi uomini per trentatré anni. Infatti: Verbo eterno del Padre, per la nostra salvezza discese dal cielo, s'incarnò, patì, morì, risuscitò, salì al cielo, rimanendo tra noi fino alla consumazione dei secoli nel Santissimo Sacramento dell'altare per essere nostro compagno, conforto, cibo.
La vita eterna consiste nel conoscere sempre più Gesù
Cristo, nostra unica felicità nel tempo e nell'eternità. Quanto sarà felice
l'anima che imparerà ogni giorno questa lezione e la metterà in pratica. Che
pensiero soave! Io vivrò, mangerò, dormirò, parlerò, tacerò, lavorerò, patirò,
tutto farò e soffrirò in unione con Gesù, conformandomi alla divina intenzione e
ai sentimenti con cui operò Gesù e che Gesù vuole siano i miei nell'agire e
patire.
Colui che agirà così - e dobbiamo farlo tutti -,
vivrà sulla terra vita di cielo, si trasformerà in Gesù e potrà ripetere con
l'Apostolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20).
29 Gennaio: Beata Arcangela Girlani
Eleonora
Girlani nacque nel 1460 a Trino Vercellese, nel Monferrato, durante il
marchesato di Guglielmo VIII. La sua era una famiglia benestante e distinta.
Incline alle pratiche di pietà fin da fanciulla, diede presto prova di virtù
singolari. Fu istruita ed educata nel Monastero di S. Francesco che sorgeva poco
distante da casa, in località detta Rocca delle Donne. Manifestatasi la
vocazione religiosa, il padre la fece tornare a casa per un periodo di
riflessione. Il risultato fu che vivendo a contatto con altre due sorelle,
Scolastica e Maria, nacque anche in loro il desiderio di consacrarsi a Cristo. I
genitori, dopo un primo rifiuto, acconsentirono a patto che entrassero nel
convento vicino casa. Eleonora però aveva scartato questa opportunità perché la
vicinanza della famiglia avrebbe impedito il cammino di perfezione e santità che
intendeva seguire. Provvidenziale fu la visita in famiglia di un amico
carmelitano. Con il suo intervento fu scelto il Convento di S. Maria Maddalena
da poco fondato a Parma, appartenente alla importante Congregazione Carmelitana
Mantovana.
Eleonora prese l'abito monacale nel 1477 col nome di Arcangela perché desiderava
passare la sua vita nella lode di Dio proprio come gli angeli in cielo. Aveva
diciassette anni.
Doti e carismi non passarono inosservati e pochi anni dopo veniva già eletta
Priora. Le sue esortazioni, ma ancor più il suo stile di vita, erano di esempio
alle consorelle. Tutta la città conosceva la perfezione con cui le Carmelitane
vivevano la propria consacrazione e molti chiedevano loro aiuto sia spirituale
che materiale per far fronte alle necessità di quei tempi difficili.
La Beata rimase a Parma per quindici anni, fino a quando si vide in lei la
fondatrice ideale del nuovo monastero di Mantova. Tale era il desiderio di
Elisabetta d’Este con l’assenso del Vicario Generale dei Carmelitani Padre
Tommaso da Caravaggio. Lasciare Parma per Madre Arcangela fu doloroso, ne
soffrirono le consorelle e tutta la città che ormai la amava e la stimava.
Subentrava come priora la sorella Scolastica.
Nel nuovo Cenobio, intitolato alla Madonna col titolo di S. Maria del Paradiso,
Madre Arcangela improntò la vita della comunità in modo esemplare e tutti
pensarono che il titolo del monastero rispecchiava appieno il modo in cui le
monache trascorrevano la loro giornata. Questo era il desidero e la
raccomandazione della Madre che si adoperava sommamente perché sia lei che le
consorelle, pur vivendo in terra, fossero come assorte in cielo. Di lei come
fondatrice del monastero di Mantova fu detto che soltanto "un Arcangelo di nome
e di costumi poteva erigerlo a perfezione". Favorì una viva osservanza dello
spirito del Carmelo, e per i suoi monasteri si avvalse degli statuti particolari
che erano stati ricavati per le monache dalle Costituzioni rinnovate dal grande
riformatore, il generale dell'Ordine Beato Giovanni Soreth.
Come in tutte le nuove fondazioni si viveva con molte ristrettezze, abbondava
solo la fiducia nella Divina Provvidenza. La Madre, dal canto suo, per la buona
riuscita dell’opera, offriva a Dio continue penitenze e digiuni. Raggiunse uno
stato tale di perfezione nella preghiera e nelle pratiche di pietà che spesso
andava in estasi. Toccava il breviario solo dopo essersi lavate le mani per
rispetto alle verità ivi contenute. Amava meditare sul mistero del S. Natale e
sulla Passione di Cristo; ebbe assai vivo il senso di Dio Uno e Trino, tanto che
era solita iniziare ogni azione importante nel nome, appunto, della SS. ma
Trinità. Ebbe il dono della profezia e ottenne dal Signore numerose grazie. La
Beata visse profondamente il mistero della sua vita interiore in unione con Dio
e nella percezione della sua presenza in purezza di cuore conducendo una vita
fraterna semplice e austera, praticando la mortificazione, il distacco, l’umiltà
e il nascondimento. Per amore della Regola, la Beata chiese ed ottenne che fosse
tradotta in lingua italiana perché lei e le consorelle non comprendevano il
latino. Tutto il cammino della spiritualità dell’epoca è attraversato dal tema
dell’amore e del dono di sé che Arcangela trasmise alle sue consorelle
insegnando loro a custodire la cella interiore dove l’intimo rapporto con Dio
conduce alla perfezione e nel ricercare la cella esteriore come luogo d’incontro
con lo Sposo, luogo di silenzio, di raccoglimento, di nascondimento per pregare,
amare, correggere i propri errori e risalire dalle tante cadute causate dalla
fragilità umana.
Sebbene giovane, negli ultimi anni di vita soffrì di diverse infermità e di
febbri frequenti. Si congedò dalle consorelle, che aveva radunate nella sua
cella, raccomandando più delle altre virtù la santa umiltà. Era il bene più
prezioso che dovevano trasmettere alle generazioni future: lei avrebbe vegliato
su loro dal cielo. Spirò il 25 gennaio 1494, le sue ultime parole furono
"Gesù, amore mio! Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me!"
Appena morta apparve a Parma alla sorella Scolastica.
In poco più di trenta anni di vita terrena suor Arcangela aveva raggiunto la
vetta della santità.
Seppellita in un primo tempo nella tomba comune, poco dopo fu esumata e riposta
in un'arca nel coro.
Nel 1782, per ordine di Giuseppe II, il Monastero fu soppresso e il corpo della
beata tornò nella natia Trino, presso le Carmelitane, ove rimase per venti anni.
Nel 1802, essendo stato soppresso anche questo Monastero, fu portato nella
Chiesa dell'Ospedale di S. Lorenzo, ove tuttora viene venerato. Il culto fu
approvato da Pio IX il 1° ottobre 1864.