GIUGNO
Beata Anna di S. Bartolomeo Bb. Alfonso Maria Mazurek e compagni
Beata Maria Candida dell' Eucaristia Sant' Eliseo Profeta
7 Giugno: Beata Anna di S. Bartolomeo
Anna Garcia nacque ad Armendral de la
Canada, nella sierra di S. Vincenzo, nei pressi di Avila, il primo ottobre 1549,
da Herman Garcia e da Maria Manzanas, sesta di sette figli. Crebbe sana e forte
fisicamente: la famiglia di contadini, benestante, le consentì una fanciullezza
serena, libera, amante del gioco con amiche e coetanee. Divenne una ragazzina
molto affettuosa, spontanea, dagli occhi luminosi: cresceva in un ambiente molto
religioso ed era conosciuto il suo grande timore e rispetto verso Dio. Fin
dall'infanzia pregava la Madonna, San Giuseppe e tutti i santi, perché le
ottenessero la grazia di essere sempre pura e di non commettere peccati: voleva
molto bene a Gesù e desiderava accontentarlo in tutto; voleva associarsi e
vivere con Lui sofferente e per questo talvolta faceva qualche penitenza e
donava il suo pasto, di nascosto, ai poveri.
Verso i dieci anni le morirono i genitori ed ella, già da allora, si scelse
come madre la Vergine Santissima. I suoi fratelli maggiori le fecero da tutori e
le diedero l'incombenza di pascolare il gregge: ella lo fece con gioia,
iniziando ad isolarsi, appassionata della solitudine e del silenzio, con
l'impressione che lo stesso Gesù Bambino fosse sempre vicino a lei. Anna pregava
tanto e a volte fantasticava di recarsi lontano, senza essere conosciuta da
alcuno e di vivere così di stenti e di disprezzo, per amore di Dio. Divenuta col
passare del tempo una ragazzona robusta, coraggiosa, attiva e capace di lavorare
bene, i fratelli, senza consultarla, ignari delle sue intime aspirazioni, le
proposero come marito il fratello del cognato di sua sorella. Anna si rifiutò
decisamente di acconsentire a tutto questo: da parte del parentado si ricorse a
delle vere minacce, tanto che la ragazza visse giornate veramente drammatiche:
da una parte le lusinghe dei familiari e dei conoscenti che la giudicavano un
ottimo partito; dall'altra la sua stessa giovanile esuberanza, destava in lei
molte forti tentazioni contro i suoi desideri di donarsi a Dio, affliggendola e
tormentandola.
Ella si rivolse allora a Maria perché la proteggesse e decise di praticare
dure penitenze perché le forti tentazioni potessero cessare. Ebbe pare, in
questo periodo, dei fenomeni mistici, di cui aveva goduto già durante
l'infanzia. Vide sogni che le rappresentavano la Madonna con Gesù Bambino; un
giorno le si presentò Gesù stesso, dall'aspetto bellissimo, che le disse: "lo
sono quello che tu cerchi e con il quale devi sposarti". Un giorno poi, mentre
era al pascolo, si addormentò e vide un monastero e delle monache con un
mantello bianco: era un sogno premonitore. Insieme alla cugina Francesca andò a
confessarsi dal parroco del suo villaggio e gli confidò il suo desiderio di
farsi monaca; con gioia apprese che ad Avila era stato iniziato da poco un
monastero, ad opera di una certa Teresa di Gesù, della famiglia Ahumada; il
sacerdote le disse che era disposto ad interessarsi presso queste monache perché
l'accettassero fra di loro. Ebbe così modo di incontrarsi con la Madre Priora e
con le religiose: l'impressione fu buona perché Anna piacque alle monache ed
ella, a sua volta, scoprì che si trattava proprio di quelle persone che aveva
visto in sogno. L'ostacolo alla vocazione da parte dei fratelli si fece più
forte: per tutta l'estate le affidarono i lavori più pesanti, facendole trainare
due carrette di fieno, e imponendole sulle spalle covoni pesanti. Il demonio
poi, più volte, mentre era al pascolo, sempre sotto forma di un grosso cane,
l'aggredì abbaiando e le addentò le vesti, stracciandogliele; una seconda volta,
sotto forma di pastore, cercò di aggredirla, riempiendola di spavento; una terza
volta si profilò, come un uomo, alto e nero, che di nuovo la impaurì moltissimo,
in mezzo ad uno strano fracasso di catene trainate e di alti gemiti.
I familiari erano molto irritati contro di lei: tutti congiuravano contro la
sua scelta religiosa. Si decise di fare un pellegrinaggio ad un santuario, dove
era venerato l'Apostolo san Bartolomeo: anche qui, prima di arrivarvi, Anna
cadde svenuta e dovette essere portata a braccia nel recinto del santo. Dal
monastero di Avila intanto le arrivò l'invito di presentarsi per essere accolta;
dopo altri tentativi dei fratelli di trattenerla, fu deciso che ella sarebbe
partita per Avila il 10 novembre 1570. Un giorno Anna, la sorella Maria e altre
persone, con le poche cose indispensabili per il viaggio, partirono per il
monastero in calesse. Anna era felice di essere finalmente riuscita a portarsi
in quel luogo benedetto: le sembrò di toccare il cielo quando fu accolta
festosamente dalle carmelitane: aveva 21 anni. Non sapeva né leggere, né
scrivere, non avendo potuto seguire in paese nessuna scuola. Era sempre
disponibile ad ogni lavoro, casalingo e campestre; disinvolta, eppure discreta,
umile, pia e incline alla contemplazione. Fu la prima sorella conversa, di "velo
bianco", della Riforma teresiana.
Nel maggio del 1571 Teresa di Gesù, di ritorno al suo primo monastero,
conobbe la giovane postulante di Armendral. La franchezza, la semplicità, la
praticità della ragazza, piacquero alla fondatrice; anche Anna stessa provò una
particolare attrazione per il tratto materno di Teresa e per la sua persona così
interessante. In noviziato l'impatto con la vita austera che aveva abbracciato,
le procurò delle intime lotte.
Un
giorno finalmente, entrando nel romitaggio del monastero, guardò la statua di
Cristo legato alla colonna; buttandosi in ginocchio, sentì la voce del Signore
che le diceva che solo passando per la via della croce poteva salvare anime.
Ella si riscosse e avvertì un grande amore a Cristo e il desiderio di seguirlo
per questa strada. Ebbe così un improvviso cambiamento spirituale: le parve di
uscire da una fitta nebbia e di impegnarsi in una via diversa e salvare così gli
eretici. Questo ideale le fu d'allora in poi stimolo in ogni azione ed ella lo
vide come la ragione più profonda della sua preghiera, del suo lavoro e delle
sue sofferenze. Confidò alla Madre che lo zelo per i peccatori non la lasciava
neppure dormire: era accesa veramente da grande amore apostolico. Ebbe in quel
periodo esperienze mistiche straordinarie alle quali non poteva sottrarsi. Emise
il 15 agosto 1572 la sua Professione, ricevendo il nome di Anna di San
Bartolomeo.
L'intenso lavoro tuttavia, le penitenze e i digiuni finirono con
l'indebolire il suo fisico: Suor Anna si ammalò e i medici le diagnosticarono
una tisi. Il male le durò più di un anno, fino al ritorno di Teresa di Gesù, che
aveva dovuto, per altre fondazioni, allontanarsi da Avila, fino al luglio del
1577. La Madre, tornata, trovò diverse figlie ammalate e invitò proprio Suor
Anna a fare a tutte da infermiera. Ella, nonostante le gravi sofferenze, si
trascinò in cucina e con l'aiuto di Gesù stesso, che le era apparso, riuscì a
preparare il cibo per le ammalate. Presto tutte si ristabilirono e Suor Anna
riuscì anche ad aiutare la Fondatrice nelle sue faccende e ad accudire ai lavori
di casa.
Durante
la bufera che colpì in quegli anni il Carmelo teresiano, la stessa Madre Teresa
un giorno, recandosi in coro, cadde malamente dalla scala d'ingresso,
fratturandosi, fra dolori lancinanti, il braccio sinistro. Suor Anna, come
infermiera, la curò; santa Teresa tuttavia non guarì perfettamente e non poté
più vestirsi da sola e compiere altri lavori. Così suor Anna, dovendo aiutarla
per tutto questo, entrò maggiormente nell'intimità della fondatrice. Quando nel
1579, calmatasi la burrasca contro il Carmelo, la fondatrice riprese le sue
fondazioni a Valladolid, a Palencia, interessandosi anche dei monasteri nuovi di
Granada e di Burgos, suor Anna fu sempre accanto a lei in tutti i suoi viaggi,
condividendone gioie e dolori.
Fu invitata dalla Madre anche a scrivere un poco della sua numerosa
corrispondenza: non sapendo farlo, la Madre la invitò a cercare di copiare la
sua calligrafia. Anna si esercitò con tale assiduità e puntiglio ad imparare la
scrittura di Madre Teresa, che vi riuscì: sotto dettatura della santa seppe
scrivere la lettera indirizzata alle monache di Siviglia: da quel giorno scrisse
varie altre lettere, sotto dettatura, con caratteri simili a quelli di santa
Teresa. Suor Anna riferiva alla fondatrice quanto avveniva nella sua anima e
Teresa ne era stupita. Un giorno, dopo altri numerosi viaggi, di ritorno dal
monastero di Medina del Campo ove la Priora non aveva trattato bene santa
Teresa, le due carmelitane andarono direttamente ad Alma de Torres, invece di
ritornare ad Avila, poiché la santa si era sentita male.
Dopo tre giorni di forti dolori, santa Teresa disse ad Anna: "Figlia è
giunta l'ora della mia morte". L'infermiera la tenne fra le sue braccia finché
spirò. Suor Anna aveva 33 anni e si sentì orfana per la seconda volta.
Dopo la morte di Santa Teresa, Suor Anna ebbe varie visioni, tra le quali
quella della stessa santa che l'assicurò della sua protezione. Lavorò molto in
aiuto alle consorelle ammalate ed ebbe incarichi di ogni genere. Volle offrire i
suoi servizi anche ad un'ammalata di lebbra, che con le sue cure guarì
perfettamente. Nel 1591 i Superiori dell'Ordine inviarono da Avila a Madrid,
come Priora, suor Maria di San Gerolamo, la quale volle come compagna suor Anna.
Ella aiutò molto quelle consorelle madrilene ad accettare e amare la nuova
Madre, mentre prima erano diffidenti verso di lei. Era nota a tutte la
semplicità e obbedienza di suor Anna: il confessore un giorno le chiese di
pregare perché cessasse una lunga siccità: ella pregò tanto che dopo mezz'ora
scrosciò dal cielo tanta di quell'acqua, che pareva diluviasse. Si dice che, con
l'aiuto speciale di una visione di santa Teresa, seppe in una grave circostanza,
guarire completamente anche una monaca pazza.
Al termine del triennio a Madrid, suor
Anna ritornò ad Avila con la Madre Priora. Nel 1595 ella ripartì con altre
monache per la fondazione del nuovo monastero di Ocana; nel 1598 ritornò ad
Avila per associarsi a suor Isabella della Croce, che voleva fondare un
monastero eremitico: vi andò con molta riluttanza, perché il progetto non le
piaceva. Cercò di dissuadere la sorella e per questo fu accusata di essere una
monaca indolente e poco fervorosa. Si programmava in quegli anni la fondazione
del Carmelo teresiano in Francia. Il de Berulle era venuto in Spagna di persona,
per preparare una prima fondazione, anche se le obiezioni al progetto francese
erano parecchie. Suor Anna era stata designata dai Superiori a far parte del
primo gruppo: le monache scelte per la fondazione provenivano da Avila.
Nel 1604 i cavalli che trainavano la carretta con le monache scelte per la
fondazione francese, attraversando un ponte, s'impaurirono e il carro precipitò
paurosamente in una buca piena di rovi. Vennero dei medici a medicare le ferite:
solo Suor Anna rimase incolume. Il 15 ottobre 1604 quando si fondò il primo
Carmelo a Parigi, gli ecclesiastici parigini giudicarono che si dovesse dare a
Suor Anna il velo nero: ella non lo avrebbe assolutamente voluto, ma dovette
obbedire; nel 1605 divenne così monaca corista. Si fondò poco dopo il monastero
di Pontoise, che si riempì di vocazioni in breve tempo. Suor Anna ebbe in quel
periodo tante grazie mistiche; Gesù le apparve varie volte. Il suo vero disagio
crebbe però quando, eletta Priora, dovette parlare alle capitolari senza
conoscere bene il francese: il Signore stesso tuttavia pare le suggerisse le
parole da dire, tanto che anche le postulanti e le novizie riuscirono a
comprendere il suo spagnolo, con vera gioia. Altre prove però l'aspettavano: dal
monastero di Parigi era partita la Priora per una fondazione e i prelati
disposero che in quella città la sostituisse suor Anna, che si trovava a
Pontoise da solo otto mesi. La gente del luogo fu così disgustata al pensiero
della sua partenza, che suor Anna dovette travestirsi di notte per lasciare la
città.
A Parigi il suo primo anno di priorato fu molto buono: ella insegnò a tutta
la comunità la vera dottrina teresiana; dopo il primo anno tuttavia iniziarono
grosse difficoltà. Il de Berulle e i prelati francesi guidavano i vari
monasteri: Suor Anna si diede da fare invece per dare in mano la direzione del
monastero ai Padri Carmelitani, perché si assumessero la responsabilità
giuridica delle monache, dando la possibilità alle suore spagnole di confessarsi
nella lingua materna. Iniziarono così veri contrasti: oltre a quello già detto,
in Francia si volevano modificare molti punti delle Costituzioni teresiane. Si
trovò che la Priora Anna era troppo dura e severa, senza cultura, troppo
semplicista e che aveva una mentalità chiusa. Ella si dibatté per ben due anni,
con pazienza e abilità in questa schermaglia. Dovette passare notti insonni,
senza alcun aiuto. Il 5 maggio 1608, terminato il triennio, fu inviata a Tours,
ancora come Priora, per iniziare un nuovo monastero. La lontananza dei prelati
francesi rese qui più leggero il suo compito, anche se non mancarono difficoltà
di governo: tra queste il fatto che molti eretici dicevano che la Priora era
"molto malvagia e idolo dei papisti".
Passato questo triennio Suor Anna desiderava tornare a Parigi, ove la situazione era cambiata dopo l'arrivo di alcuni Padri carmelitani, guidati da Padre Tommaso di Gesù, per fondare il loro primo convento. Nel 1611 infatti riuscì a recarsi in questa città, sempre con la carica di Priora; trattò qui con i Padri e anche col prelato de Berulle, riuscendo con lui a chiarire divergenze: egli stesso riconobbe alcune verità sulle quali si era ingannato. Il 5 ottobre 1611 partì per le Fiandre, che erano sotto il dominio della Spagna, dove Madre Anna di Gesù aveva già aperto un monastero a Bruxelles e un altro a Mons: l'accompagnò Padre Tommaso di Gesù. Madre Anna si fermò in quello di Mons; fu poi chiamata a reggere il nuovo monastero di Anversa, superando grandi riluttanze da parte sua. Il 6 novembre 1612 ad Anversa infatti sorse un nuovo Carmelo teresiano. Dopo qualche contrasto, come sempre avviene, Madre Anna iniziò, in mezzo alle numerose giovani che entravano al Carmelo, il periodo più tranquillo della sua vita. Verso il 1615 o 1616 Padre Tommaso le ordinò di scrivere i propri ricordi, poiché era stata la segretaria di santa Teresa, l'aveva ben conosciuta e aveva già testimoniato al suo Processo di beatificazione, nel 1614. In questo suo ultimo periodo di vita la sua intimità con il mondo soprannaturale si fece più intensa: la sua preghiera, in mezzo alla pace del monastero, divenne più continua e profonda. Poté contemplare i misteri della vita e della passione di Gesù con profondità più forte. Durante il giorno, mentre pregava, s'incontrava misticamente con la Madonna, con san Giuseppe e con santa Teresa. Questi incontri la riempivano di luce, di forza e di conforto. Parlava di questi incontri straordinari con il Signore, come di un fatto normale.
Nella sua autobiografia racconta con
vivacità tutte queste sue esperienze: la sua sofferenza era nel vedere Gesù
soffrire, perché gli eretici in Germania osteggiavano la Chiesa, perché in
Francia le monache non erano fedeli al carisma teresiano e per le stesse
imperfezioni che vedeva nel suo monastero. Terminò di scrivere i suoi ricordi
nel 1624, due anni dopo la canonizzazione della sua Santa Madre Teresa; scrisse
anche molte lettere, richiamando le sue posizioni dottrinali secondo l'autentico
stile teresiano, che tanto le stava a cuore. Alle sue preghiere si
raccomandavano molte persone e in particolare i cittadini di Anversa. Le fu
infatti attribuita la salvezza di questa città, attaccata dai protestanti.
Morì il 7 giugno 1626, festa della SS. Trinità, a 76 anni di età.
Venne beatificata il 6 maggio 1917, da Papa Benedetto XV.
12 Giugno: Bb. Alfonso Maria Mazurek e compagni
Il 26 marzo 1999, alla presenza di Giovanni
Paolo II, si tenne presso il Palazzo Apostolico Vaticano la lettura del Decreto
sul martirio dei 108 Martiri Polacchi della seconda guerra mondiale, vittime
della persecuzione nazista. Nel gruppo - cui appartenevano 3 vescovi, 51 preti
diocesani, 26 sacerdoti regolari, 8 fratelli religiosi, 3 seminaristi, 8 suore e
9 laici -, vi era anche un nostro confratello religioso carmelitano scalzo, il
P. Alfonso Maria dello Spirito Santo (Mazurek), Priore del convento di Czerna
presso Cracovia.
La beatificazione di questi
Martiri avvenne il 13 giugno del 1999, a Varsavia, durante il viaggio apostolico
di Papa Giovanni Paolo II in Polonia, la sua patria.
Giuseppe Mazurek nacque il 1° marzo 1891 a Baranowka, in Polonia, nella diocesi di Lublino, in una famiglia di contadini, di tradizione cristiana.
Forse anche per l'influenza di uno zio carmelitano, entrò nel 1903 nel Collegio dei Carmelitani Scalzi a Wadowice, ove ebbe la fortuna di conoscere anche S. Raffaele Kalinowski.
Fin da giovane amò darsi allo studio del pianoforte e dell’organo, che coltivò poi per tutta la vita.
A 17 anni vestì a Czema l'abito carmelitano, ricevendo appunto il nome di fra Alfonso Maria e quattro anni dopo fece la sua professione solenne.
Iniziò i suoi studi filosofici prima a Wadowice e poi quelli teologici nel collegio di Cracovia. Quando però questa città fu minacciata dall’esercito russo e quello austriaco occupò gran parte del convento, fu costretto insieme ai suoi fratelli ad abbandonare questa città e a ritornare a Wadowice. Aveva però, nel frattempo, ricevuto gli ordini minori e il suddiaconato. Non trovandosi al sicuro neppure in questa città, dovette terminare i suoi studi teologici, prima a Linz e poi a Vienna. Qui ricevette il 16 luglio 1916 l'Ordinazione Sacerdotale, proprio nel Duomo di S. Stefano. Celebrò nella sua parrocchia natale la sua prima Messa: ritornò poi a Vienna, per terminare gli studi teologici.
L'anno seguente il Padre Provinciale lo trasferì a Cracovia come lettore e maestro degli studenti; nel 1920 fu nominato prefetto ed insegnante nel Seminario Minore di Wadowice.
Aveva tutte le doti per essere un educatore della gioventù: egli stesso scrisse, a questo proposito, un articolo nel quale parlava dei requisiti che sono necessari per riconoscere i primi segni di vocazione nei giovani da educare.
Amava molto i giovani ed era da loro riamato: si manteneva sempre a loro disposizione. Era stimato ed apprezzato dai maestri e anche dagli alunni, benché fosse esigente.
Cercava di dare ai suoi giovani un’educazione umana, intellettuale e veramente religiosa. Con tutto questo però non rimaneva estraneo alla sua vita di convento.
Fu eletto in questi anni anche consigliere provinciale e negli anni 1925-26 partecipò ai Capitoli Generali a Roma.
Apprezzava moltissimo il dono della vita religiosa. Già nel 1912 aveva annotato nei suoi quaderni, durante le giornate di ritiro, questa frase:
"Ogni giorno, prima dell’esame di coscienza, ringraziare Dio per la grazia della vocazione, come pure rinnovare la mia professione al mattino e alla sera, prostrato per terra".
In un altro passo diceva espressamente che voleva "gioire di essere deriso, dimenticato, disprezzato, ignorato… perché - diceva - questi sono i segni sicuri dell’amore di Dio per me".
Gesù Cristo fu sempre il punto di riferimento della sua vita, il suo ideale di obbedienza e di povertà.
Guardando ancora fra le sue note spirituali, si trovano dei pensieri molto belli, alti e significativi. Eccone alcuni:
"Vuoi essere santo? Santifica ogni minuto".
"Tutta la nostra fedeltà e perfezione consiste nel conformarci alla volontà di Dio, che è l'unica e suprema norma di perfezione e di santità... ".
"Mi sforzerò, con l'aiuto della grazia di Dio, di imitare sempre e in tutto l'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto sacerdote e ‘alter Christus’, e progredirò nella perfezione solo nella misura in cui mi conformerò a Cristo, assicurandomi la salvezza e la fruttuosità del mio lavoro a favore degli altri".
"Essere benevolo, cortese, paziente con tutti; pronto ad aiutarli nelle necessità" .
"Mettere più diligenza nelle pratiche spirituali, soprattutto nella 'lectio divina': poiché se vivrete secondo la carne, morirete; se invece, con l'aiuto dello Spirito Santo, farete morire le opere del corpo, vivrete".
Era animato sempre da una profonda fede, che esprimeva nel compiere bene i suoi doveri religiosi e sacerdotali.
Amava l'orazione contemplativa, l'adorazione davanti a Gesù nel Tabernacolo; celebrava la Messa con una devozione che faceva capire la sua dignità e grandezza incomparabili; gli piaceva la bellezza e la cura del culto divino.
Nel 1930 fu eletto Priore del convento di Czerna, carica che mantenne fino alla morte. Si diede da fare, senza alcuna riserva, per il bene della sua comunità, alla quale per diversi anni dedicò tutte le sue forze fisiche e spirituali.
Si rivelò anche attimo organizzatore. Benché fosse amante della tradizione, non aveva paura di introdurre i più moderni mezzi della tecnica. Approfittando dell’acqua di un piccolo fiume che scorreva vicino al monastero, costruì una piccola centrale elettrica, in grado di fornire acqua e corrente al suo convento. Si adoperò anche per organizzare un orto a terrazza, sulla collina adiacente al monastero.
Ma prima di tutta fu vero padre spirituale per i suoi confratelli. Curava anche il servizio pastorale della Chiesa e del convento, servendo così da modello allo stesso canto popolare.
Faceva conferenze mensili ai membri della fraternità dello Scapolare e ritiri alle Congregazioni religiose e al Terz'Ordine carmelitano, del quale era visitatore provinciale.
Fu anche confessore delle Carmelitane Scalze di Cracovia.
Tutti quelli che lo conobbero diedero unanime testimonianza che egli era un religioso veramente esemplare, sotto tutti i punti di vista. La fedeltà e la fiducia furono i veri fondamenti della sua vita spirituale, che cercò con zelo e amore di inculcare nell'animo dei suoi confratelli. La stessa fede lo faceva intrepido per continuare la sua missione pastorale durante l’occupazione nazista, senza lasciarsi intimidire dalle minacce di rappresaglie. Uno di questi gesti intrepidi fu quello di accogliere giovani aspiranti all’Ordine. Durante la guerra, esponendosi agli occupanti, aiutò gli espulsi di Slesia. Affrontava queste situazioni con pace e serenità, fissando lo sguardo, come egli diceva, su Gesù povero e disprezzato. "Niente - affermava - dovrebbe turbare la pace e la tranquillità del cuore, perché questo cuore dovrebbe attaccarsi solo a Dio, e non alle sue consolazioni, alle sue grazie o ai suoi doni".
Avvicinandosi la fine della seconda guerra mondiale, nell’agosto del 1944, fu notevolmente potenziata l’ostilità dei nazisti verso i carmelitani scalzi di Czerna. Il 24 agosto di quell’anno fu fucilato, durante la passeggiata comunitaria, il novizio Fra Francesco Powiertowski. Quattro giorni dopo al convento entrò il comando militare nazista, costringendo i religiosi a recarsi al villaggio Rudawa, distante oltre dieci chilometri, per scavare delle trincee. Il priore, P. Alfonso Maria, fu con forza separato dalla comunità. Costretto a salire su un’auto dei militari, fu da loro brutalmente maltrattato e torturato, e quindi gettato a terra e fucilato nel villaggio di Nawojowa Góra presso Rudawa. Era il 28 agosto del 1944, vigilia della memoria liturgica del martirio di San Giovanni Battista, cui fu tanto devoto. Già agonizzante, il Padre fu ancora torturato dagli aguzzini: i militari vedendolo ancora vivo, gli riempirono la bocca di terra... Per tutto il tempo aveva tenuto in mano il santo rosario, che stringeva anche dopo la morte, come testimoniarono coloro che ritrovarono il cadavere.
Questo omicidio non avvenne per motivi politici. Padre Alfonso non era impegnato in azioni politiche e non ne era accusato. Morì perché era un sacerdote conosciuto nei dintorni per la sua fedeltà alla legge di Dio.
Il 2 settembre 1945, nel luogo della sua morte, fu benedetto un monumento con la seguente scritta:
"Hai vinto con la vittoria di Dio…".
L’eroica fine del P. Alfonso fu l’ultima
testimonianza della sua fedeltà alla grazia della vocazione e della sua filiale
fiducia verso la Regina e Madre del Carmelo: fedeltà e fiducia, che egli
inculcava ai suoi confratelli, insegnando loro soprattutto con l’esempio.
Alcune frasi dei suoi scritti
rivelano la sua marianità: "Nelle afflizioni, nelle tribolazioni, nelle
angustie e nelle tentazioni, sempre mi rifugerò vicino all'amatissima Madre mia,
Maria. Ad Ella offro me stesso e tutte le mie cose. Fedelmente, insieme con la
Santissima Madre mia Maria, voglio stare presso la croce di Gesù".
Maria gli fu veramente guida e
modello nella sua vita. Scrisse, a questo riguardo, un piccolo libro intitolato:
"Regina del Carmelo - Gli insegnamenti per il Terz'Ordine Carmelitano". In esso
presenta la storia del culto mariano, la devozione allo Scapolare e la sua
pratica. Libretto certo senza grandi pretese, scritto can parole semplici,
adatte per il popolo. Presenta la Vergine Maria come modello di vita cristiana e
come collaboratrice di Gesù nell'opera di salvezza. Riesce a sottolineare bene
anche il valore della vita cristiana nel mondo: tutti, pur esercitando compiti
diversi, sona chiamati a servire e ad amare Dio nel prossimo.
Il Preposito Generale dell'Ordine, Padre Camillo Maccise, nella bella "Lettera circolare" scritta in occasione della sua beatificazione, e intitolata "Fedeltà e martirio", presenta in modo davvero magistrale le linee fondamentali della spiritualità di questo nuovo beato del Carmelo. Lo definisce "un servitore buono e fedele".
Egli dice, tra l'altro:
"Il martirio non è frutto del proprio sforzo o ricompensa dei propri meriti, è piuttosto un dono gratuito di Dio, che chiama a questa suprema testimonianza e dà la forza per affrontarla. A cinquantatre anni, in piena maturità, Padre Alfonso Maria fu scelto da Dio per offrire la testimonianza del martirio come carmelitano e con le caratteristiche di ciò che era stata la sua vita. Ogni martirio porta con sé il tratto particolare della personalità del martire e può essere visto in questa prospettiva. C'è sempre una connessione tra la vita e la morte. Nel caso del nostro confratello possiamo riflettere sul suo martirio a partire dall'aspetto, che alla luce dei testimoni che lo conobbero, lo caratterizzò: la fedeltà ai suoi impegni di vita religioso-sacerdotale e carmelitana. Il martirio di Padre Alfonso Maria fu allo stesso tempo un dono gratuito di Dio e un'espressione suprema della sua risposta fedele e generosa alla Grazia. In un unico atto di amore purificatore, il nostro confratello offrì a Dio la sua esistenza terrena e, in un esercizio eroico della fede, della speranza e della carità, si abbandonò totalmente nelle sue mani di Padre amoroso e misericordioso.
Teresa di Gesù Bambino, il novello e più giovane Dottore della Chiesa, ci ha ricordato la forza purificatrice dell’Amore e, nello stesso tempo, ci ha invitato ad una fedeltà alla volontà di Dio manifestata negli avvenimenti della vita, nelle piccole cose di ogni giorno, nella necessità di affrontare le sfide che il Signore ci presenta attraverso le circostanze. Padre Mazurek ha vissuto ambedue le esperienze: con la mentalità della sua epoca e con i limiti del suo temperamento, procurò sempre di rispondere con fedeltà alle esigenze della sua vocazione carmelitana, espresse negli impegni quotidiani della vita comunitaria.
Questo lo preparò, in un certo modo, a ricevere il dono gratuito del martirio, come risposta fedele ed eroica di fedeltà alla sequela di Cristo.
Credo che qui incontriamo l'essenza del messaggio che il Signore ci vuole dare nella vita e nella morte del nostro confratello: ‘Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto’ (Lc. 16,10) ".
14 Giugno: Beata Maria Candida dell' Eucaristia
e
Sant' Eliseo Profeta
L’Ordine Carmelitano, memore della sua origine al monte Carmelo, con la celebrazione liturgica dei grandi profeti Elia ed Eliseo, intese perpetuare la memoria della loro presenza e delle loro opere. Perciò nell'anno 1399 il Capitolo Generale decretò la celebrazione della festa di S. Eliseo. Ai nostri giorni il profeta testimonia efficacemente il carisma profetico per mezzo della fedeltà al vero Dio e il servizio al suo popolo.
Il continuatore dell'opera di Elia era un
ricco possidente, originario di Abelmeula. Il suo nome, Eliseo ("Dio salva"),
risponde bene alla natura della missione svolta tra il popolo di Israele, sotto
il regno di Ioram (853 a.C.-842), Iehu (842-815), Ioacaz (814-798) e Ioash
(798-783). Eliseo era un uomo deciso e lo dimostra la prontezza con cui rispose
al gesto simbolico di Elia che, per ordine di Jahvè, lo consacrava profeta e suo
successore.
"Elia andò in cerca di Eliseo - si legge al cap. 19 del I libro dei Re - e lo
trovò che stava arando: aveva davanti a sè dodici paia di buoi; egli arava col
dodicesimo paio. Giunto a lui, Elia gli gettò addosso il proprio mantello.
Allora Eliseo, abbandonati i buoi, corse dietro a Elia e gli disse: Permettimi
di passare a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò. Elia gli disse: Va'
e torna presto, poiché tu sai ciò che ti ho comunicato. Eliseo, allontanatosi,
prese un paio di buoi e li immolò, quindi col legno dell'aratro e degli
strumenti da tiro dei buoi ne fece cuocere le carni e le dette a mangiare ai
suoi compagni di lavoro. Poi partì e seguì Elia, mettendosi al suo servizio".
Il ricco agricoltore, con quel gesto significativo, voleva dire al suo maestro
che ormai era disposto a rinunciare a tutto per rispondere in pieno alla
vocazione profetica. E con altrettanta prontezza eseguì gli ordini del maestro
fino al momento del misterioso commiato, oltre il Giordano, quando Elia
scomparve dentro un turbine di fuoco. Elia gli aveva chiesto: "Che cosa vuoi,
prima che io parta dalla terra?". La richiesta di Eliseo non fu di poco conto:
"io chiedo che abiti in me uno spirito doppio del tuo". Gli era stato fedele
discepolo per sei anni, ora gli avanzava la sua richiesta di eredità, non in
beni materiali, ma in virtù carismatica. La domanda di Eliseo venne esaudita.
Egli è, infatti, il più taumaturgico dei profeti.
La Bibbia ricorda una lunga
serie di prodigi da lui operati: stendendo il mantello di Elia divise le acque
del Giordano; con una manciata di sale rese potabile l'acqua di Gerico; rese
inesauribile l'olio d'oliva di una vedova; risuscitò il figlio della sunamita
che lo ospitava; moltiplicò i pani sfamando un centinaio di persone; guarì dalla
lebbra Naaman, generale del re di Damasco. Operò miracoli anche dopo la morte:
un morto, gettato frettolosamente sulla tomba del profeta da un becchino
impaurito dall'arrivo di alcuni predoni "risuscitò, si alzò in piedi e se ne
andò". Il profeta Eliseo morì verso il 790 a.C., e venne sepolto nei pressi di
Samaria, dove ai tempi di S. Girolamo si poteva visitare la sua tomba, violata
da Giuliano l'Apostata. Solo alcune reliquie vennero salvate, trasferite ad
Alessandria, Costantinopoli e Ravenna.