MAGGIO
Sant'Angelo di Sicilia Beato Luigi Rabatà
S. Simone Stock Santa Gioacchina de Vedruna
5 Maggio: Sant'Angelo di Sicilia
Secondo antiche fonti, Angelo nacque a Gerusalemme nel 1185 da una famiglia di fede ebraica finché, convertitosi assieme al fratello gemello, al Cristianesimo, non si ritirò in Palestina, sul Monte Carmelo. I due gemelli di Gerusalemme, scegliendo il Carmelo come palestra di perfezione spirituale, si mostrarono fedeli alla nuova fede cristiana. Proprio in quegli anni, Sant' Alberto Patriarca di Gerusalemme, dava ai solitari del Carmelo una Regola di vita precisa e definitiva, permettendone la fortunata espansione in tutti i paesi. Angelo, ordinato sacerdote all’età di 25 anni, percorse diverse regioni della Palestina lasciando traccia del suo passaggio nell'eco di molti miracoli. Ritornato sul Carmelo, non restò a lungo nella devota solitudine del promontorio palestinese.
Nel 1218 i superiori lo inviarono a Roma, proprio per sottoporre al Papa Onorio III la Regola adottata dal primo Priore dell'Ordine san Brocardo, che aveva adottato i due voti di povertà e castità, disciplinando la vita dei carmelitani in una esistenza eremitica ma non oziosa, in comune ma in silenzio, operosa, materialmente e spiritualmente.
Il Papa, che pochi anni dopo avrebbe approvato la Regola di San Francesco, confermò la Regola carmelitana e la concesse nel 1226. Il monaco Angelo, compiuta la sua missione, venne inviato in Sicilia con il compito della predicazione e per contrastare un'eresia che si stava diffondendo. A Licata (Agrigento) s’imbatté in un signorotto locale, certo Berengario, che oltre ad essere un cataro ostinato, viveva nell’incesto; Angelo convinse la compagna di quest’uomo a lasciarlo, Berengario infuriato lo assalì, mentre predicava nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, ferendolo mortalmente con cinque colpi di spada; fu trasportato in una casa vicina dai fedeli, dove quattro giorni dopo, morì per le ferite riportate, chiedendo agli abitanti e fedeli di Licata di perdonare l’assassino. Era il 5 maggio 1225. Le ferite ‑ cinque come quelle che piagarono il corpo di Gesù ‑ lo fecero apparire veramente un alter Christus, un secondo Cristo, vittima innocente per il ravvedimento dei peccatori. Venerato come martire, ben presto sul luogo della sua morte venne edificata una chiesa, in cui fu deposto il suo corpo; il suo sepolcro divenne subito meta di pellegrinaggi, il suo culto si diffuse rapidamente.
L’Ordine Carmelitano lo venera come santo almeno dal 1456 e Papa Pio II (1405-1464), ne approvò il culto. I suoi resti, nel 1662 furono trasferiti in una nuova chiesa, S. Maria del Carmine, edificata per voto dagli abitanti di Licata, che erano stati preservati dalla peste, infuriata in tutto il Vicereame di Napoli nel 1656, per intercessione del Santo.
Sant'Angelo
e Sant'Alberto di Trapani sono considerati "i padri" del Carmelo, per essere
stati i primi due santi oggetti di culto nell'Ordine; per questo,
nell'iconografia medievale, molte volte vengono raffigurati accanto alla Vergine
Maria.
Il culto a S. Angelo ebbe un'ampia diffusione fra i Carmelitani (la Provincia di
Lombardia lo scelse come Patrono) e tra il popolo. Verso il 1400 Filippo Lippi
lo raffigurò nella Madonna Trivulzio (Milano, musei civ.); il Pordedone lo
raffigurò nella Madonna del Carmine (Venezia, Accademia della Belle Arti). Suoi
attributi: una scimitarra in testa, un pugnale nel petto, la palma del martirio
in mano, sola o infilata a tre corone (verginità, predicazione, martirio).
Sant'Angelo è anche patrono di molti paesi della Sicilia, invocato dal popolo in
mille necessità. Da S. Angelo prende il nome il paese S. Angelo Muxaro (Ag.) per
un soggiorno che vi avrebbe fatto in una grotta infestata da spiriti maligni. A
Cefalù si mostra l'impronta del suo piede nella pietra da cui sgorga acqua
calda...
La maggior devozione, naturalmente la riscuote a Licata, di cui è patrono. A destra della chiesa è tuttora la fonte che si dice scaturita sul luogo del martirio, e da cui i devoti attingono l'acqua, particolarmente nelle due feste annuali, a maggio e agosto. In ricordo della preservazione della città da un attacco dei Turchi, ancor oggi si tiene una festa particolare che si rifà a quell'avvenimento.
Nato ad Erice (Trapani) probabilmente nel 1443, rivestì l'abito del Carmelo presso il convento dell'Annunziata di Trapani, ove compì gli studi e fu ordinato sacerdote. Inviato come superiore nel convento riformato di Randazzo, vi dimorò fino alla morte, avvenuta l'8 maggio (probabilmente) del 1490. Secondo la tradizione fu ucciso con una freccia in testa da un signorotto locale, Antonio Cataluccio, di cui aveva condannato i costumi. Padre Luigi agonizzò per mesi, ma perdonò l'uccisore e non volle rivelarne il nome, per non accusare nessuno. Viene sempre rappresentato con la palma in mano e una freccia conficcata nel capo. Il suo corpo, divenuto subito oggetto di venerazione e meta di ammalati, specialmente di ossessi, fu sepolto nel convento della cittadina siciliana, e traslato nel 1913 sotto l'altare dell'Assunzione nella basilica di Santa Maria. Reliquie del Beato sono anche ad Erice e a Trapani. È beato dal 1841. Non è venerato come martire, ma come confessore.
Identificare questo importante Santo Carmelitano è un po' difficile, poiché sembra che gli elementi di due storie riguardanti due San Simone, si siano fusi nel tempo, dando origine ad un'unica figura storica.
San Simone Stock nacque circa l’anno 1165, nel castello di Hanford, nella contea di Kent (Inghilterra) di cui suo padre era governatore.
Dopo un’infanzia tutta pia e innocente, e non avendo ancora dodici anni, mosso vivamente dalla grazia, si ritirò in un’alpestre solitudine dove, non cibandosi che di radici e di erbe e non bevendo che acqua, occupava il suo tempo in continua orazione e veniva di frequente onorato di apparizioni della Santissima Vergine.
Dopo avere condotto una vita fino all’età di venti anni più angelica che umana, comprese che si avvicinava il momento in cui erano per avvicinarsi i disegni di Dio a suo riguardo, e che doveva apparecchiarvisi con lo studio delle scienze sacre.
Vi si applicò per otto anni e, conseguita la laurea di dottore nell’Università di Oxford, fu ordinato sacerdote. Cominciò a predicare e divenne famoso in tutta l’Inghilterra.
In questo tempo giunsero nell’isola i Carmelitani che si stabilirono in Holme e in Aylesford. Il santo comprese che la Regina del Carmelo lo voleva nella sua famiglia prediletta. Vi fu infatti ricevuto e partì per la Palestina, dove passò sei anni in una completa solitudine, nutrito miracolosamente con una specie di manna.
Richiamato dall’obbedienza in Inghilterra, assistette al capitolo di Aylesford (1245), nel quale fu nominato Generale dell’Ordine, che governò per quindici anni.
Si diede da fare per l’approvazione dell’Ordine da parte della Sede Apostolica ed ottenne un primo riconoscimento nel 1247. Dopo due anni riuscì anche a farlo considerare come Ordine Mendicante, ma questo riconoscimento non piacque a molti altri Ordini religiosi. Cominciò una specie di persecuzione che vide impegnati diversi Ordini, insieme ad alcuni preti secolari, che con insistenza ne chiedevano la soppressione, soprattutto perché veniva dall'Oriente.
Fu allora che San Simone Stock si rivolse alla Vergine Santissima per chiederle un’ intercessione speciale in favore del Carmelo.
Il suo nome divenne popolarissimo per la preghiera carmelitana Flos Carmeli, a lui attribuita (benché già nota dal XIV secolo) e per la visione della Madonna dello Scapolare, che prometteva salvezza per chi lo avesse indossato: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». La Vergine gli assicurava la sua materna protezione per tutto l’Ordine; cosa che avvenne con l’approvazione definitiva della Regola fatta da Innocenzo IV con una Bolla in data 1° settembre 1248.
Una volta garantita la stabilità dell’Ordine in occidente, Simone si occupò di accelerare il suo sviluppo in tutta l’Europa, specialmente in Francia.
Finalmente, sul principio dell’anno 1265, giunse a Bordeaux. Era molto vecchio ma sempre ardente di zelo e il 16 maggio di quell’anno rese la sua anima a Dio. Fu sepolto nel convento del suo Ordine. Aveva più di cento anni.
Erano appena trascorsi tre giorni dalla sua sepoltura che la devozione dei fedeli fece decidere l’Arcivescovo di Bordeaux a fare solennemente disseppellire il suo corpo, ciò che allora equivaleva ad una canonizzazione formale.
22 Maggio: Santa Gioacchina de Vedruna
Figlia di Lorenzo De Vedruna e Teresa
Vidal, genitori di genuina fede cristiana, Gioacchina nacque a Barcellona il 16
aprile 1783 e battezzata nello stesso giorno.
Già dalla fanciullezza si sentì attratta dall’amore di Dio, al punto che la
madre gli domandava come facesse a stare così lungamente raccolta in preghiera e
lei rispondeva che tutto le parlava di Dio, gli spilli del merletto a tombolo le
ricordavano le spine della corona di Cristo crocifisso e al quale desiderava
portare consolazione con piccoli sacrifici; così il filo da cucire le ricordava
le corde con cui Gesù fu legato alla colonna e le erbacce delle aiuole per lei
rappresentavano i propri difetti e mancanze da sradicare. Erano tutti così
abituati al monotono ripetere formule, che risultava nuovo il fatto che una
bambina avesse il coraggio di parlare di Dio con parole tutte sue, in una
silenziosa e profonda contemplazione.
Con questi sentimenti così profondi in
una bambina, a nove anni fece la Prima Comunione e a dodici decise di
consacrarsi al Signore tra le Carmelitane di clausura di Barcellona, ma per la
sua giovane età non fu accettata; crebbe negli anni successivi con questo
ideale, che sembrava ormai la via principale della sua vita.
A sedici anni però venne chiesta in sposa da Teodoro De Mas, giovane che pure
lui aveva sentito forte il richiamo ad una vita religiosa, ma ostacolato dalla
volontà dei genitori, essendo il primogenito e l’erede di un nobile casato.
Gioacchina, dopo aver avuto dal suo confessore la rassicurazione che questa era
la volontà di Dio, accettò, sposandosi il 24 marzo 1799 con Teodoro. La perfetta
affinità di queste due anime, trasformò la loro casa in un’oasi di pace e di
concordia; la loro giornata cominciava con l’andare entrambi in chiesa e si
chiudeva la sera con la recita del rosario, a cui si unì con gli anni, il coro
dei loro nove figli, cresciuti con amore e incoraggiati nella pratica delle
virtù, con il loro encomiabile esempio.
Poi dal 1803 al 1813 la Spagna subì il dominio francese di Napoleone Bonaparte;
in quest’arco di tempo il popolo spagnolo si ribellò con le armi alla conquista
ed anche Teodoro De Mas, discendente da valorosi guerrieri, si arruolò
volontario in difesa della Patria.
Fu coinvolto anche nell’assedio di un castello presso Vich, dove oppose con un
gruppo di patrioti una strenua difesa e che i francesi non riuscirono ad
espugnare; fu questo un periodo d’intensa sofferenza per Gioacchina, in ansia
per la vita del marito, le preoccupazioni per i figli e la grande povertà in cui
erano precipitati.
Ma nulla riuscì a scalfire la sua sconfinata fiducia nella Provvidenza e senza
mai lamentarsi, non smise mai di pregare. Nulla riuscì a sconvolgere in lei
l'unica e incrollabile certezza: Dio, presente nella sua storia, è " il padre di
misericordia che tutto fa bene ", che " sempre le apre un cammino ", anche
quando " apparentemente sembri sordo alle sue suppliche ", e la cui grazia rende
possibile la realizzazione di ogni sforzo umano purché trovi in noi " la volontà
di fare il bene ".
Al ritorno dalla guerra, debilitato nel
fisico, Teodoro De Mas morì il 6 marzo 1816; la giovane vedova, che aveva 33
anni, nello stesso momento guardò il grande Crocifisso appeso nella stanza e le
parve che dicesse: “ Ora che perdi il tuo sposo terreno, ti scelgo io per mia
sposa ”.
Gioacchina
rimase a Barcellona ancora per dei mesi per tutelare i diritti dei figli dalle
pretese dei parenti e poi si ritirò a Vich nel feudo ereditato dal marito,
chiamato “ Manso Escorial ”, dove poté meglio occuparsi dei figli e dare più
ampio respiro alla propria santificazione.
Purtroppo la mortalità infantile era una piaga di quei tempi, così anche a
Gioacchina morirono tre figli in tenera età; quattro abbracciarono lo stato
religioso e due si sposarono felicemente. Divenuta più libera dagli impegni
familiari, pensò che fosse giunto il momento di realizzare la sua antica
aspirazione di entrare in un Ordine religioso di clausura; ma il suo direttore
spirituale, il cappuccino di Vich, padre Stefano di Olot, la dissuase dicendole
che Dio non la voleva in un chiostro, ma come fondatrice di una Congregazione di
religiose, dedite alla cura degli ammalati e all’educazione delle fanciulle.
Ancora una volta Gioacchina chinò il capo acconsentendo e, il 6 gennaio 1826, a
43 anni, fece la professione di “ Carmelitana della Carità ” nella cappella
vescovile di Vich, nelle mani di mons. Paolo di Gesù Corcuera, Vescovo della
città di Vich, che tanto l’aveva incoraggiata e dato il nome alla nuova
Istituzione.
E così, il 26 febbraio 1826, insieme a nove giovani aspiranti, dopo aver
ascoltato la Messa, si diresse al “ Manso Escorial ”, dove iniziò la nuova vita,
fatta di pace e di fervore religioso.
Il suo amore materno si trasmise alle sue nuove figlie, divenendo un fattore
fondamentale del metodo educativo delle “ Carmelitane della Carità ”. L'Istituto
non ebbe vita facile. Venne osteggiato, irriso, perseguitato, ma Gioacchina non
si scoraggiò, rendendosi utile al prossimo specialmente durante la terribile
peste spagnola del 1854. Superando privazioni e stenti, un po’ alla volta
l’Istituzione crebbe diffondendosi con una fitta rete di case per tutta la
Catalogna, case per l'assistenza agli infermi e per l'opera di prevenzione e
recupero delle classi più esposte alle insidie della miseria e dell'ignoranza,
confermando come lei diceva: “ che la Congregazione non era opera sua, ma di Dio
”. Innamorata del mistero trinitario, da esso trasse le caratteristiche della
sua spiritualità: preghiera, mortificazione, distacco, umiltà e carità.
Nel settembre del 1849 fu colpita da un
primo attacco apoplettico, a cui ne seguirono altri che la resero paralizzata e
secondo un suo desiderio chiesto al Signore, “ inutile e spregevole ” agli occhi
degli altri.
Il 28 agosto 1854 a 71 anni, dopo un’ulteriore attacco del male, le si
presentarono i sintomi del colera che in quel periodo decimava il popolo e,
circondata dall’affetto delle sue figlie, si addormentò nel Signore.
Venne beatificata il 19 maggio 1940 da Papa Pio XII e successivamente
canonizzata, il 12 aprile 1959, da Papa Giovanni XXIII.
25 Maggio: S. Maria Maddalena de' Pazzi
Caterina di Geri de’ Pazzi nacque a Firenze il 2 aprile 1566 da Camillo di Geri de' Pazzi e da Maria di Lorenzo Buondelmonti, una nobile e facoltosa famiglia. Assai presto Caterina fu toccata da Dio, complice la madre, donna di grande spirito cristiano e complici i gesuiti, confessori fissi di casa de' Pazzi.
La madre aveva una direzione spirituale, si comunicava frequentemente, meditava e pregava assiduamente; insieme alla cognata, Margherita Buondelmonti, faceva conoscere alla bambina la vita di comunione con Dio.
Il primo confessore di Caterina, Padre Andrea Rossi, le insegnò l' orazione mentale; le diede un libro sulla Passione di Gesù e le fece amare fortemente l'Eucaristia. Queste traiettorie interiori furono proseguite in seguito anche da Padre Pietro Blanca.
Di Caterina fanciulla conosciamo in particolare la sua bontà con i piccoli contadini della villa di Perugiano, nelle vicinanze di Prato. Ella insegnava loro la fede cristiana; si ritirava spesso però anche nelle sue stanze, per meditare la Passione di Gesù Cristo. Era attirata dal mistero della Trinità e da quello dell'Eucaristia.
Nel 1574 Caterina, come si usava dire, " fu messa in serbo ", cioè entrò come educanda nel monastero delle Cavalieresse di S. Giovannino de' Cavalieri, a Firenze, dove si trovava la sua zia materna, Suor Lessandra Buondelmonti.
Il 25 marzo 1576, in quel monastero, a dieci anni, ricevette la prima Comunione, cosa molto insolita a quei tempi; le fu subito dato il permesso di comunicarsi ogni settimana. Il 19 aprile dello stesso anno, le fu concesso di fare il voto di verginità perpetua.
Il 30 novembre 1578 Caterina ritornò alla villa di Perugiano. Nel novembre dello stesso anno ebbe la prima manifestazione di "Amore interno ", cioè ebbe un'estasi; una delle manifestazioni che costelleranno tutta la sua vita.
Il padre di Caterina, uomo politico e di governo, fu mandato dal Granduca di Toscana, in qualità di Commissario Governatore, a Cortona; Caterina così dovette ritornare " in serbo " tra le Cavalieresse.
Padre Blanca la incitò a vivere intensamente la sua vita di preghiera, comunicandosi ogni settimana e ogni giorno festivo per aiutarla a proseguire nelle vie dello Spirito.
Appartiene a questo periodo e, in modo specifico al giorno dell'Ascensione del 1580, un secondo " eccesso d'amore ", che le fece sperimentare la grandezza di Dio e il Suo amore. Questo le procurò una allegrezza e una gioia tanto grande, da dover gridare il suo amore per Dio.
Durante questa permanenza nel monastero, Caterina prese molto seriamente la vita cristiana e la vita di preghiera, seguendo le indicazioni di Padre Blanca, che l'aveva invitata a seguire delle buone letture e delle meditazioni.
Appariva spesso immersa nella vita di preghiera; era disponibile tuttavia al servizio delle malate e delle anziane, che faceva con estrema carità.
Il monastero delle Cavalieresse non brillava, a quei tempi, per virtù; c'erano alcune monache gelose, suscettibili e mediocri. Dinanzi a questo lassismo, la vita di Caterina suonava come un rimprovero, soprattutto per il suo esempio di totale osservanza.
Le monache non la capirono e la rimproveravano, attribuendole la volontà di essere una Riformatrice. Ella tuttavia non ci pensava neppure lontanamente, anche perché era fragile e delicata di salute. Cominciò a soffrire molto per questo e a deperire.
I genitori allora la tolsero dal monastero delle Cavalieresse, per metterla in mano ai medici.
Suo padre, nel 1581, era ancora Governatore di Cortona: Caterina vi andò ospite del monastero di S. Girolamo, detto delle Poverelle del Terz' Ordine di S. Francesco.
A questo soggiorno è da attribuire il francescanesimo di Caterina. Dimenticate le sofferenze passate dalle Cavalieresse, rimessasi in salute, nel 1582 ritornò a Firenze, con il permesso di " monacarsi ". Si pose quindi il problema della scelta del monastero in cui entrare. Padre Blanca le disse di scegliere tra le Domenicane e le Carmelitane. Caterina sentiva una qualche inclinazione per le Domenicane, ma scelse le Carmelitane, soprattutto perché potevano ricevere ogni giorno il Sacramento dell'Eucaristia.
Alla vigilia dell' Assunzione, il 14 agosto 1582, entrò, per un periodo di prova, nel Monastero delle carmelitane di Santa Maria degli Angeli, un convento di stretta osservanza. E Caterina capì qual era la strada che Dio voleva da lei. Nonostante la giovane età aveva già deciso: voleva di più, molto di più, voleva Dio stesso, il Tutto che dà senso a tutto.
La famiglia, fece grandi resistenze ma la sua non era una infatuazione adolescenziale ma una ferma decisione, un progetto per tutta la vita. Le pressioni aumentarono, il padre di Caterina non voleva assolutamente, tuttavia alla fine cedette e, per consolarsi davanti alla “ perdita ” della figlia così giovane e così bella, ottenne da lei il permesso (era una condizione) di farle un ritratto, da ammirare a casa e da mostrare... ai propri amici. E così il 30 novembre successivo Caterina entrò definitivamente in convento. Il 30 gennaio 1583 ricevette l'abito carmelitano, prese il nuovo nome di Maria Maddalena ed iniziò il suo noviziato. Sperimentò, in questo periodo, la manifestazione del " consumamento d'amore ". Gridava: " Amore, non sei conosciuto, né amato "; grido che diventerà il ritornello del suo colloquio con Dio per tutta la vita. Già durante il noviziato fu colpita da una misteriosa e dolorosa malattia, con febbre molto alta e tosse tremenda, forse con un pneumotorace a valvola, che la costrinse a letto. Il male si aggravò sempre di più, impedendole di stare coricata.
Per i dottori non c’era niente da fare. La madre superiora, molto premurosa, le permise di fare in anticipo la professione religiosa. Al momento di pronunciare i voti, dovettero portarla in cappella, davanti all’altare, nel suo letto, dove " dì e notte stava sempre a sedere ".
Era il mattino del 27 maggio 1584, festa della Santissima Trinità. Subito dopo la professione, venne riportata nell'infermeria, dove rimase, per due ore, in un’estasi molto profonda che la unì spiritualmente alla Trinità. Durante quest’estasi, come lei stessa affermò, aveva offerto a Dio il proprio cuore. Si “ risvegliò ” tra le lacrime, di consolazione e di gioia, per quello che aveva sperimentato. Le suore la videro in estasi per la prima volta. Questo fenomeno durò ben quaranta giorni, fino al 6 luglio 1584: ogni giorno, dopo la Comunione, andava in estasi per due o tre ore e provava eccessi d'Amore durante il giorno.
Questi favori divini straordinari, si manifestarono da quel giorno fino al 9 marzo 1591; ripresero per un semestre anche nel 1592. Si diradarono in seguito e scomparvero del tutto.
L'8 giugno 1584 sperimentò visibilmente il dramma della Passione di Gesù e il 10 giugno ricevette in dono da Lui il suo cuore e a sua volta Gli donò il proprio.
Mentre visitava il corpo della Beata Maria Bagnesi, custodito nel monastero di S. Maria degli Angeli, guarì miracolosamente.
A sua domanda, continuò come le altre neoprofesse in noviziato, sotto la direzione della maestra delle novizie, Suor Vangelista del Giocondo e riprese la propria formazione principalmente con lo studio della Scrittura (i Vangeli in particolare), dei Padri della Chiesa (in primis Sant’Agostino), e gli scritti dei Santi (con un posto d’onore per Santa Caterina da Siena).
Il 28 giugno ricevette per la prima volta le stigmate; chiese tuttavia al Signore di poterle vedere solo lei.
Il 6 luglio ricevette la Corona di Spine, alla presenza di S. Caterina da Siena e di S. Agostino; per tutta la vita porterà questo misterioso dolore in testa.
La sera del 24 marzo, S. Agostino le scrisse nel cuore le parole: " Verbum caro factum est "; il 15 aprile ricevette le stigmate invisibili che le rimasero per tutta la vita, Sant'Agostino scrisse nel suo cuore " Sanguis unionis ". La Domenica in Albis del 28 aprile, Sant'Agostino le scrisse nel cuore " Puritas coniunxit Verbum ad Mariam et Sponsum ad sponsam " e Gesù le donò l'anello delle nozze mistiche: tutti segni di un'unione perfetta con Cristo.
Nel maggio 1585 un'estasi le durò
ininterrottamente 40 ore: dalle
14 ore (circa) di venerdì, fino all'una di domenica accompagnò Gesù nel mistero
della sepoltura, della resurrezione, della liberazione dell'anime del Limbo e
della sua apparizione a Maria, Sua Madre. Cominciò
da allora a nutrirsi, per comando del Signore, di pane ed acqua, in riparazione
dei peccati e a dormire cinque ore per notte
prima " sopra la sola materassa, e poi sopra un sol saccone ". Questa
inedia prolungata finirà solo il 30 gennaio 1594.
La vigilia di Pentecoste del
1585, per otto giorni, senza tregua, entrò in un " eccesso di mente ",
ricevendo per sette volte, sotto varie forme, all'Ora di Terza, lo Spirito
Santo; poi fu assorbita dal mistero della SS. Trinità.
Questi rapimenti, puro dono di Dio, avvenivano non solo durante la preghiera ma anche durante altre attività, come affermarono i testimoni. Il suo confessore inoltre per accertarsi che quello che viveva veniva da Dio e che non erano illusioni o frutto di isterismi, le comandò di mettere tutto per iscritto. Ella obbedì naturalmente, anche se poi disse che nonostante tutti i propri sforzi non riusciva a mettere in parole terrene le esperienze che viveva. Il confessore incaricò allora tre sue consorelle a stendere per iscritto le parole pronunciate da Suor Maria Maddalena durante i rapimenti estatici. Fu proprio questa felice intuizione che ha regalato ai posteri ben cinque volumi di manoscritti (I Quaranta Giorni, I Colloqui, Revelatione e Intelligentie o Gli otto giorni dello Spirito Santo, La Probatione e La Renovatione della Chiesa, gli Avvisi e le Lettere), ricchi di profonda dottrina spirituale, che ebbero un impatto profondo sulla spiritualità cristiana dei secoli seguenti fino ai nostri giorni.
Nello stesso anno 1585, il 6 giugno, festa della Santissima Trinità cominciò la prova della privazione del sentimento e del gusto della grazia, lasciandola Dio nella " fossa dei leoni " (lit.: " lago de' leoni ")," circundata da moltitudine di demoni e afflitta dalle lor grande e orribil tentatione ". Era l’annuncio di una lunga prova di aridità spirituale, del deserto della desolazione più nera da attraversare, la “notte dello spirito” o notte mistica della fede: si sarebbe sentita esistenzialmente inutile e addirittura abbandonata spiritualmente da Dio, sottoposta ad ogni genere di tentazioni, terribili prove che le durarono ben cinque anni: la novizia carmelitana nel " lago dei leoni " come ella si esprimeva, giunse fino alla tentazione della disperazione, della fuga dal monastero e del suicidio.
Ma anche in quel momento della più bassa disperazione la sua fede rimase ferma: depose infatti il coltello ai piedi della statua di Cristo e si affidò di nuovo e totalmente a Lui.
"Vedevo quella grande bontà di Dio, come un grandissimo fiume, nel quale erano pesci grossissimi e molto belli. E intendevo erano tutti gli spiriti beati e santi del Paradiso, i quali, a somiglianza dei pesci del mare, s'immergono e nutriscono nell'acqua di quel gran fiume della bontà di Dio. Vedevo ancora in questo grande fiume una bella nave con tutti i suoi fornimenti e intendevo questa essere la Santa Chiesa militante. I remi, le vele e la bandiera e tutte le altre cose che sono necessarie ad una nave, intendevo essere le insegne della Passione di Gesù.
Vedevo ancora questa nave essere ben fornita e carica di vettovaglie e massimo di pane, che erano i SS. Sacramenti della Chiesa; il pane particolarmente era il Corpo e il Sangue di Gesù, il quale dà la vita all'anima ". Prima di tutto e soprattutto veniva messa in risalto la bontà paterna di Dio, e non il suo volto severo di giudice inflessibile, come si usava in quel tempo. È l’amore infinito del Padre che ci dona il Verbo nell’Incarnazione e attraverso la Sua Santa Umanità entra in piena comunione con l’umanità di tutti i tempi, e questo avviene attraverso il dono continuo dello Spirito Santo, che ci conforma, se lo si lascia lavorare, al Cristo. " Chiave di volta del suo edificio spirituale (sviluppato però in modo non propriamente organico) è l'amore: creati da Dio con amore e per amore, è per tale via che dobbiamo tornare a Lui; l'amore è la misura del progresso nel ritorno dell'anima a Dio. La principale funzione dell'amore è di unire l'anima a Dio. La vita spirituale come un circolo, animato dall'amore, che in Dio ha il punto di partenza e di arrivo ".
Secondo Santa Maria Maddalena quindi la radice di tutto in Dio è l’amore, e questa volontà di amore e donare amore a tutti avrebbe fatto sì che l’Incarnazione sarebbe avvenuta anche senza il peccato. È su questa Umanità di Cristo che ella insiste molto: “ Chi non passa per questa santa umanità non può arrivare a salvamento ”, essa infatti è “ il ponte ”, la “ scala ”, la “ nave che conduce in porto ”. Il Verbo incarnato posto “ come per incudine tra l’ira di Dio e l’iniquità dell’uomo ”, è strumento perfetto di Redenzione.
Ma nell’insegnamento d Maria Maddalena non c’è solo teologia e contemplazione del mistero ineffabile e inesprimibile di Dio, c’è anche un capitolo sull’ascesi: l’anima del discepolo si configura e si unisce a Dio nella misura in cui si spoglia di ogni cosa superflua nel cammino verso Dio e diventa un “ nulla ”. Di Maria mette in risalto la santità unica: “ la più santa che sia stata, sia al presente e abbia a essere per l’avvenire ”, la sua maternità spirituale, ed il suo essere Mediatrice di grazia. Anche Maria Maddalena, come Caterina da Siena, si adoperò (su richiesta del Signore) per la riforma della Chiesa (iniziata dal Concilio di Trento con i suoi decreti), offrendosi perchè i "cristi" (i sacerdoti) fossero di nuovo luce del mondo e gli infedeli ritornassero nel grembo della Chiesa. Era una missione difficile ma importante. Compito che la spaventò perché si riteneva inadatta e incapace. Maria Maddalena esitò, temette di ingannarsi. Avrebbe preferito offrire la vita per l’evangelizzazione, seguire con gioia l’opera dei missionari in Giappone... I suoi direttori spirituali la incoraggiarono ad andare avanti. Dettò in estasi 12 lettere (sembra però che tali missive non siano mai arrivate a destinazione o non siano state prese sul serio) per il rinnovamento della Chiesa al Papa Sisto V, ai Cardinali, ai Superiori dei vari Ordini religiosi, a S. Caterina de' Ricci; mandò tre lettere ad Alessandro de’ Medici, Arcivescovo di Firenze, che poi incontrò in monastero. " Questa figliola ha veramente parlato in persona dello Spirito Santo ", dirà lui, trovando in Suor Maria Maddalena "gran fundamento e prudentia". Maria Maddalena gli annunciò che presto lo avrebbero fatto Papa, ma che non sarebbe durato molto. Infatti, Alessandro venne eletto il 10 maggio 1605 con il nome di Leone XI, e morì soltanto 26 giorni dopo.
Essendosi spogliata di tutto ciò che
aveva in camera, passò poi a indossare una sola tonaca e scapolare, i più
abietti che aveva trovato, a " similitudine di Gesù e dei sua santi apostoli
". In seguito cominciò a camminare scalza, senza scarpe, " all'apostolica "
(fino al 9 giugno 1590).
Nel febbraio 1588 ricevette da
Gesù, in dono,
fasciculus
myrrhae,
il "fascetto della
Passione, come dette a San Bernardo",
quasi a dire che si era totalmente assimilata a Lui Crocifisso. Dopo un digiuno
a pane e acqua di cinquanta giorni, nella notte di Pentecoste, il 10 giugno
1590, fu definitivamente liberata da questa orribile " fossa dei leoni ". Delle 142 monache che le vissero
accanto, solo una quindicina erano al corrente dei suoi travagli e della sua
vita mistica; cercarono tuttavia nella misura del possibile, di circondarla di
silenzio.
La Madre Maestra e poi Priora del Monastero, la mise alla prova: dubitò per lungo tempo delle sue estasi e la umiliò molto; anche le suore erano critiche. Ella stessa tuttavia si riteneva a volte vittima del demonio e della fantasia: dubitava talora quindi di sé e di questa sua straordinaria vita. Uscita dal noviziato nel 1586, divenne sottomaestra delle novizie nel 1589, maestra delle giovani nel 1595, maestra delle novizie nel 1598 e sottopriora nel 1604.
In tutti questi uffici dimostrò sapienza e prudenza, dolcezza e carità.
Osservava le virtù nella vita quotidiana, con grande spirito di servizio, soccorrendo le anziane e le malate. Aveva un'ansia missionaria fortissima e si preoccupava delle minime cose degli altri; era anche per temperamento colma di umanità e di delicatezza. Visse una vita di immolazione e di amore verso Dio, verso il prossimo, verso la società e verso la Chiesa.
“ Come altri mistici anche la nostra santa godette di mirabili visioni ed estasi, ma fu anche sottoposta a smisurate sofferenze (...). Di pochi altri santi si può dire che contribuirono in tale misura “ a ciò che manca alle sofferenze di Cristo (Cor 1,24) ” (A. Butler). Solo dopo otto giorni dall' elezione a sottopriora, cui avrebbe rinunciato in ogni modo, nell’ autunno del 1602 cominciò ad ammalarsi, avendo " un continuo catarro e veemente tosse ". Domandò a Dio la grazia di un nudo patire, cioè "che da niuna banda [Dio, mondo, corpo, spirito e persone] vi sia consolazione" e sentì che le sarebbe stata accordata.
Ad intervalli godette ancora di
eccezionali favori, fino al 1604, quando,
colpita da tubercolosi polmonare
le fu tolta ogni consolazione celeste.
Cessate le estasi, dovette
affrontare la passione e la salita al Calvario, in unione al Cristo sofferente.
Passò gli ultimi tre anni della
sua vita nel nascondimento, fra prove fisiche e morali, con continui sbocchi di
sangue e febbre alta, senza
nessuna consolazione interiore o esteriore, proprio fino alla morte: è il "
nudo patire ", la configurazione suprema con Gesù abbandonato nella croce.
Lei accettò di soffrire e di offrire tutto quel dolore, sempre sorretta
dall’amore a Cristo, e coniò la famosa espressione “ Pati et non mori ”,
e cioè patire e non morire, se questo significava la compartecipazione alla
passione di Cristo per la Chiesa e per il mondo. Morì alle 14.00 del 25 maggio 1607,
venerdì di Ascensione,
mentre pronunciava le parole: " Benedictus Deus "; le monache intanto
intorno a lei cantavano il "
Simbolo di S. Atanasio ". Aveva
solo 41 anni e si era consumata per amore. E' famoso il fatto che, nel maggio
1592, correndo per il monastero, si attaccò alle campane, suonando a lungo e
gridando: " Venite ad amare l'Amore ".
Dopo un anno le sue spoglie, intatte e profumate, furono portate in clausura. Nel 1611 iniziarono i processi per la beatificazione e Papa Urbano VIII l'8 maggio 1626 la proclamò Beata, mentre Clemente IX la canonizzò il 28 aprile 1669. E' una delle sante la cui vita fu veramente straordinaria ed eccezionale.
Il suo corpo incorruttibile si trova attualmente sotto l'altare maggiore della Chiesa del Monastero di S. Maria degli Angeli e di S. Maria Maddalena de' Pazzi, a Firenze.
Senza di Te sono un niente
Senza di Te sono un niente,
Senza di Te, dolce mio Sposo, sono un niente.
Senza di Te non posso,
non voglio volere cosa alcuna.
Non voglio essere cosa alcuna.
Se mi farai un angelo, un arcangelo,
un cherubino, un serafino,
senza di Te, Tu mi farai un niente.
E se mi darai tutte le felicità,
la forza di tutti i forti,
la sapienza di tutti i saggi,
le grazie e le virtù di tutto il creato,
senza di Te saranno il mio inferno.
Se mi dai l'inferno,
con tutte le pene e i tormenti,
ma ci sei Tu,
io vedrò un paradiso.
O Amore,
desiderio inestinguibile
consumato dalla nostra pena,
trafiggi i nostri cuori di ghiaccio!
Vieni, o Spirito Santo
“Vieni, o Spirito Santo.
Venga l’unione del Padre, il compiacimento del Verbo.
Sei, o Spirito di verità, premio dei santi, refrigerio delle anime,
luce delle tenebre, ricchezza dei poveri, tesoro di quelli che amano,
sazietà degli esaurienti, consolazione dei pellegrini.
Tu sei, insomma, colui nel quale si contiene ogni tesoro.
Vieni Tu, che discendendo in Maria, hai fatto incarnare il Verbo,
e fa’ in noi per grazia quello che hai fatto in lei per grazia e per
natura”.
Tu l’Essere di ogni essere
Sei l’essere di te stesso, sei
l’essere del tuo Verbo.
Sei l’essere dello Spirito Santo, sei l’essere della Santissima Trinità.
Sei l’essere di ogni cosa che ha essere.
E che cosa si può dire che abbia essere se non tu stesso?
La creatura non ha essere alcuno se non da te stesso.
Tu gli hai dato quell’essere.