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Monastero delle Monache Chiaramonte Gulfi Sacra Famiglia |
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STORIA
Il
Carmelo a Chiaramonte Gulfi sorge nel 1660, circa cento anni dopo la fondazione del primo
Monastero di S. Teresa, in Avila, prima come "conservatorio" di vergini orfane
e povere, con annessa chiesetta dedicata a
S. Anna, e più tardi trasformato in monastero
teresiano, e dedicato a S. Teresa
di Gesù.
In
seguito ai danni prodotti dal terremoto
del 1693, la chiesetta di S. Anna fu ricostruita
e, ovviamente, dedicata anch'essa a S. Teresa.
Delle
prime monache conosciamo soltanto
pochi nomi. La prima, a cui si deve la
fondazione del monastero teresiano, è suor
Teresa Ventura, proveniente da uno dei
due Carmeli Teresiani di Comiso e forse
imparentata con la signora Eleonora Cerruto,
sposata Ventura, che volle impiegare i suoi beni nella fondazione del Conservatorio.
Nel
1866 il monastero fu soppresso, ma venne
subito ricomprato dalle monache allora
viventi, in qualità di privati, essendo bene demaniale.
Esse
continuarono a vivervi la loro vita di
sacrificio e di preghiera, nel silenzio e nel nascondimento.
Quando
il monastero dovette essere
chiuso per motivi economici, esse furono costrette a disperdersi in
altre comunità religiose.
L'idea
di far rinascere il Carmelo Teresiano
a Chiaramonte Gulfi nacque nel cuore
generoso della signorina Giulia Cultrera,
figlia del barone Raffaele della
Fontanazza e della signora Annetta Rizza. Già
quindicenne, Giulia aveva avvertito nel
suo animo un impulso segreto che la sollecitava
a donare tutta se stessa a Dio.
Le
cose di questo mondo, le ricchezze, le conversazioni
mondane, andavano perdendo per lei
ogni attrattiva e ad esse preferiva il silenzio e le ore trascorse in intimo colloquio
con Gesù.
Il
diniego e gli ostacoli posti dai genitori e dai parenti alla realizzazione
della sua vocazione si rivelarono più
tardi un misterioso, provvidenziale
indugio voluto da Dio per la
realizzazione dell'impresa più grande
che Egli voleva affidarle.
Infatti,
quando nel 1914, donna Giulia (così la
chiamavano tutti in paese) vide chiudersi
il monastero delle Teresiane per motivi
economici, l'ardore per il suo ideale si
accrebbe, facendole vedere nel suo cospicuo
patrimonio il mezzo ideale per ridare
vita a quel monastero, nel quale avrebbe
potuto realizzare in seguito il suo sogno,
aprendolo a tante anime che avevano
i suoi stessi desideri. Lei stessa ha raccontato:
"Il Signore mi mandò l'angelo che sostenne la mia vocazione"; parlava di
Uomo di santa vita, da tutti conosciuto come
un padre, specie per gli orfani e gli abbandonati,
ritenuto un santo, anch'egli desiderò stabilire nella sua città un'oasi di
vita spirituale, che fosse per tutti come un richiamo
al distacco del cuore dalle cose terrene
e un orientamento verso le realtà eterne.
Perciò sostenne e consigliò donna Giulia, impegnandosi egli stesso a
formare anime alla vita interiore,
contribuendo così nel modo più
efficace alla realizzazione del nuovo
monastero.
Non mancarono difficoltà di ogni genere, sia per ottenere
i necessari permessi dall'Ordine e dalla Santa Sede, sia per trovare il luogo adatto al nuovo Monastero, poiché quello antico dedicato
a S. Teresa con la chiesa annessa era ormai
proprietà delle Suore degli
Angeli, che tuttora vi operano.
Si puntarono gli occhi e le speranze sul convento
dei Padri Cappuccini, ormai chiuso per mancanza di vocazioni. E, finalmente, dopo la stipulazione del contratto,
si potè avere il rescritto della S. Congregazione col quale veniva formalmente dichiarata la fondazione del nuovo Monastero
delle Carmelitane Scalze in Chiaramonte
Gulfi.
La fondazione fu
affidata al vicino monastero di
S. Teresa di Ragusa, e personalmente
alla Madre Maria Immacolata
che, proveniente
dal Carmelo di Napoli, aveva già da alcuni
anni dato inizio giuridico alla
fondazione del
Carmelo di Ragusa. Madre Maria Immacolata
era nata a Napoli il 30 luglio 1880
da nobile famiglia, e aveva professato
nel monastero di Arco Mirelli della stessa città.
Subito dopo la professione vi era stata eletta
sottopriora e maestra delle novizie. La Provvidenza l'aveva destinata a grandi imprese
per la gloria di Dio e dell'Ordine Carmelitano.
A Ragusa si era trovata ad accogliere
e formare una Santa: la Beata Madre
Maria Candida dell'Eucaristia, entrata
il 25 settembre 1919. Si era accorta subito della preziosità del
soggetto e, con fine intuito, l'aveva educata con forza, assecondando
la generosità della novizia perché riuscisse vera carmelitana.
A lei, pur ancora giovane professa,
avrebbe passato il suo incarico di priora, non senza sofferenza da una parte e
dall'altra. La stessa Madre Maria Candida, nelle cronache
del monastero ci lascerà il ricordo di
quei momenti di separazione. Infatti, dopo 14 anni si profilava il distacco dalla guida
forte e decisa di Madre Maria Immacolata
e di altre 5 Sorelle che l'avrebbero coadiuvata nel compito di far nascere e,
soprattutto, di dare una vera impronta teresiana al nuovo Monastero: Sr. Maria Amata di Gesù, Sr. Giulia
di S. Luigi, Sr. Beatrice dello
Spirito Santo, Sr. Maria Isabella
degli Angeli e Sr. Cecilia della Presentazione.
Madre Maria Immacolata aveva seguito i
preparativi e l'adattamento del convento per
corrispondenza, più volte anche di presenza.
La sostennero i consigli e anche la paterna
voce di un santo sacerdote ragusano a
cui il Carmelo di Ragusa deve tanto, Padre
Giorgio La Perla che, quasi un nuovo
Giuliano d'Avila, l'aveva spesso accompagnata, sapendo però sempre rimanere
nell'ombra, secondo il suo stile, che sa cedere
il posto agli altri, riservando per sé soltanto il servizio. Quando
tutto fu pronto, venne fissata la data
della solenne inaugurazione.
Finalmente il 2 agosto 1925 fu possibile aprire il nuovo monastero, presenti il P. Generale, P. Guglielmo di S. Alberto e l'ex Generale P. Luca di Maria SS.
Quando
il SS. Sacramento venne posto sull'altare,
il Clero intonò il Te
Deum: il nuovo
Monastero era nato e si apriva un nuovo
tabernacolo per il Signore Gesù. Felice,
avvolta nella sua umiltà, interamente
prostrata nell'adorazione e nella lode, donna Giulia dovette tornare a
casa, accanto alla mamma, che necessitava della sue amorevoli
cure filiali. Il papà era già morto.
Aveva però il permesso di trascorrere
qualche momento di preghiera e di ricreazione
all'interno del suo piccolo monastero, insieme alle sorelle. Tuttavia
l'attesa di entrare definitivamente non fu lunga.
Nell'estate del 1927, la baronessa sua
madre si ammalò gravemente e il 24 luglio
passò a ricevere la ricompensa
eterna per la sua vita di fede,
spesa nella carità. Si apriva così
per Giulia Cultrera la porta del
Carmelo. L' accoglieva a braccia aperte
la Comunità e soprattutto Madre Maria
Immacolata che, sin dai
primi incontri, l 'aveva
tanto apprezzata e amata.
Nel
cuore di Madre Maria Immacolata, suor Teresa travasò tutta la sua gioia, la sua
riconoscenza, soprattutto l'ansia di amare
e di far amare il Signore, perdendo se
stessa nel nascondimento e nell'umiltà, vivendo
con impegno il suo proposito di essere
e di rimanere per sempre l'ultima di tutte.
Non tu dato loro di vivere insieme a lungo,
perché nel marzo 1931 Madre Maria Immacolata
dovette rimettersi in cammino per una nuova fondazione a Enna.
Le
cronache del nostro Monastero raccontano
che: "Alla notizia della separazione, Sr. Teresa di Gesù, che più di tutte
era vissuta a contatto con Madre
Immacolata a motivo della
fondazione, svenne... ". Indelebili
gli esempi, gli insegnamenti di questa Madre
nel cuore della figlia, ancora molto inesperta.
Li aveva assimilati, però, fino a farli risplendere in sé e accanto a sé,
tanto che nel 1937 fu eletta priora della comunità, e dovette suo malgrado, assolvere questo incarico per parecchi anni consecutivi, e
poi ancora nel 1953.
Fu
in quest'ultimo suo priorato che Madre Teresa credette opportuno chiedere al
padre Provinciale della Provincia Veneta di mandare nel nostro monastero una Priora,
che potesse guidare meglio di lei sulle vie della contemplazione le sue sorelle e figlie.
La
nuova superiora, Madre Maria Grazia della Natività (1903-1996), madre dal cuore grande che abbraccia l'universo, ha
lasciato un ricordo perenne nelle nostre anime per l'impronta davvero
carmelitana che ha saputo donarci.
Perciò la nostra comunità, non volendo perdere
la memoria di questa grande anima e cercando di raccontare la sua forte esperienza
di carmelitana autentica e la sua vocazione a una straordinaria maternità
universale, ha curato la pubblicazione di una sua vita, dal titolo "Essere Maria"
(Chiaramonte
G.,1996).
Madre Maria Grazia della Natività (1903-1996)
Germana Giambartolomei era nata a Tortona (AL) il 5 aprile 1903. Un tipetto volitivo, con la testa già volta a profonde riflessioni, sin dai primissimi anni. Se le capitava di trovarsi dinanzi a una collina o a una montagna, voleva scalarla per vedere cosa c'era dietro. «Cercavo l'infinito», racconterà lei stessa. E ogni risposta la deludeva. Nel cuore invece ardeva un amore semplice, infantile per Gesù, tale da non farle ritenere "sprecate" le lacrime, per ottenere che le venisse anticipato l'incontro eucaristico con Gesù, al quale fu ammessa nella Pasqua del 1911.Venne la prima guerra mondiale: anni bui, nei quali il papà comandante di una nave, giocava da eroe la sua vita per la Patria. In casa si viveva di ansia. Germana, quando l'angoscia la opprimeva, si chiudeva in camera dinanzi a un volto di Gesù appassionato: pregava per papà, per i tanti morti di cui giungeva notizia. Un giorno, un pensiero le attraversò la mente: «E se toccasse a me il sacrificio?». Scrisse dopo: «Un senso di terrore mi invase, ma riuscii a dire il mio sì». Papa tornò; Germana, completati gli studi, si iscrisse alla facoltà di chimica e farmacia. Giorni gioiosi, belli. Eppure, dentro l'anima le si scavava un vuoto sempre più grande: un groviglio di perché - «perché il male? perché i cattivi? perché il dolore? » - che, pur inconsapevolmente, ruotavano attorno a uno, nascosto nel profondo: perché lei, proprio lei, avrebbe dovuto soffrire per gli altri. Si era allontanata dai sacramenti, non pregava più. Niente poteva appagarla. Anche l'amore umano l'aveva delusa; anche i capolavori dell'arte, tutte cose troppo mute, che non potevano darle quello che inconsciamente cercava e che, a poco a poco cominciava a intuire: «Volevo arrivare a una offerta pura per il mio Signore». Lo voleva, anche se aveva paura di mettersi a seguire il Crocifisso. Fu un sabato santo (1922) che, inginocchiata accanto al Crocifisso, si sentì avvolta, «inondata, sommersa di Misericordia, di perdono». Il Signore l'aveva attesa con pazienza: «una vera pazzia del Suo Amore!». Così, dopo la laurea, la troviamo farmacista a Pontecurone (AL), dopo passerà a Travagliato (BS), dove potrà iniziare già la sua esperienza di maternità spirituale nei confronti delle giovani di Azione Cattolica, ma fu a Pontecurone che l'azione dello Spirito Santo irruppe nella sua vita, facendole sperimentare in modo mistico «quasi una incarnazione del Verbo»: «Mi parve che lo Spirito d' amore mi avvolgesse con la sua ombra e che nella mia anima venisse concepito Gesù». Ora la sua brama di presentare al Padre un'offerta pura, degna di Lui, è finalmente saziata, perché Gesù è suo, nato in lei. Ma Gesù non è solo. Gesù ha un corpo mistico. Sarà questa grazia consequenziale che inciderà sulla sua vita interiore e le farà scoprire la sua speciale vocazione alla stessa maternità della Madonna. Infatti, lentamente, gradualmente, comprese che il terreno più adatto a queste mistiche operazioni della grazia è il Cuore di Maria e ad Essa Germana orientò la sua vita, intuendo che come Lei, doveva «accettare con cuore di madre, insieme a Gesù tutte le mistiche membra», la «turba magna», come amava considerare tutta l'umanità che anela a Dio anche inconsapevolmente. Questa "particolare vocazione" le veniva confermata nella sua vestizione religiosa nel Carmelo di Brescia (12 settembre 1935) col nome nuovo che le veniva dato: Maria Grazia della Natività. Essa lo vide come un programma di unione a Maria in quel mistero di maternità che accoglie nel suo grembo la vita del Figlio di Dio, il suo «dolce Nato» da «portare e far nascere in tutti i cuori».E finalmente nel giorno della professione solenne (15 settembre 1939), festa dell'Addolorata, quando, nel suo intimo avverte come rivolte a lei le parole di Gesù alla Vergine Santa dall'alto della croce: «Donna, ecco tuo figlio». «Anche a me - commenta - il Signore ha rivolto queste parole, additandomi tutta l'umanità».E da questo momento che suor Maria Grazia vede attuarsi in lei quasi una identificazione alla Vergine - Madre. «Essere Maria» significava perciò assumere in sé i due aspetti della maternità della Madonna: quella verso Gesù e quella verso l'umanità. Maria è per lei anzitutto "Madre": Madre del Verbo Incarnato, a cui ha offerto il suo grembo verginale, la sua carne, il suo sangue, tutto il suo essere. «Quando dico "sono Maria", faccio miei i suoi palpiti per Gesù, le sue delicatezze, il suo amore...». E così prega: «Madre, in ogni cuore di redento si è eretto un calvario su cui Gesù è immolato. Dammi di condividere i tuoi dolori per penetrare i dolori di Gesù».Condividendo la passione di Gesù e di Maria, porta su di sé il peccato di tutta l'umanità: «Mi sento un cuore grande grande che abbraccia tutta l'umanità. Mi sembra di portare in cuore tutti gli uomini. Mi sento veramente madre e prego, piango, soffro, per tutti i miei figli, con la sollecitudine che deriva dalla mia unione con la vera grande Madre di tutti gli uomini». Giunge così a penetrare il mistero di iniquità che ha causato la passione e la morte di Gesù. E se ne sente coinvolta in prima persona: «Il peccato diventa, come lo è stato per Gesù, qualcosa di personale che ci fa soffrire come se fossimo noi a commetterlo, perché è stato consumato da una parte di noi stessi». In qualche modo «era una parte di sé che offendeva Dio»: questo pensiero la faceva agonizzare. Avrebbe voluto percorrere tutto il mondo per cancellare tutte le brutture e le miserie.Pensava ai bambini! «Tutti li amo e li porto nel cuore... Io sono felice quando non riesco a dormire: vado in giro per il mondo, entro nelle carceri, abbraccio i bambini, faccio la comunione dentro di loro...». Pensava ai sacerdoti, alle persone consacrate. Ogni notizia dolorosa - le guerre, gli orribili delitti, le offese fatte a Dio - tutto si incideva nel suo spirito con violenza, tanto da pesare sul suo fisico e da toglierle il sonno. Non riusciva a capire che «i suoi figli», tutti gli uomini, potessero essere capaci di tanto male. Perciò si faceva carico della «stoltezza» di tutti, fino a vivere per loro e con loro l'oscurità del Venerdì santo.Ma non soltanto il dolore, anche l'amore di tutti considerava suo: «Poiché tutti siamo un corpo solo, tutti sono qualcosa di me stessa. E allora posso dire che in ogni istante del giorno e della notte io amo, mi nutro di Gesù, vivo di Lui, perché vivo coi miei fratelli che lo stanno ricevendo nell' Eucaristia. Il più piccolo membro del Corpo Mistico, che si sforza di vivere il suo battesimo come tralcio che si tiene unito alla vite, diventa il suo tesoro, la sua consolazione».Questa profonda esperienza interiore non è rimasta chiusa nel suo intimo. E’ esplosa all'esterno col calore di una carità che toccava quanti l'avvicinavano, specie le sue sorelle e figlie nel Carmelo di Chiaramente dove fu trasferita come priora. Ad esse, Madre Maria Grazia, divorata da questo fuoco, poté dare il meglio di sé. Di lei è stato detto, dentro e anche da fuori del monastero, da quanti l'avvicinarono: «La Madre ci ha lasciato qualcosa di inspiegabile. Ci ha inculcato il dono della sofferenza. Siccome ci amava molto - oserei dire "troppo" - ci ha lasciato il dono che redime i fratelli: l'arma della sofferenza che redime il mondo». A tutti, come alle sue figlie del Carmelo, essa ripete ancora: «A ognuno di noi è stato affidato uno stuolo di anime. Se ci fermiamo, si fermano pure loro; se noi camminiamo, trasciniamo tutti verso il Signore».
Le Carmelitane Scalze di Canicattini (SR)